domenica 9 aprile 2017

I Grandi diano una risposta alla violenza contro le donne di Linda Laura Sabbadini

Vorremmo che non fosse così, ma anche nei Paesi del G7 la violenza contro le donne è fenomeno ampio e diffuso e il problema non è risolto. Insieme, totalizzano 4608 omicidi di donne in un anno, più della metà di questi omicidi è opera di partner o ex. È un dato che parla da solo. Dunque, la violenza più diffusa per le donne è quella domestica, la violenza inattesa giunge da parte di chi la donna ama o ha amato.

Nel gruppo dei 7, gli Stati Uniti sono il Paese che presenta i valori più alti. Ma i femminicidi sono solo la punta di un iceberg, prima vengono maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, economica, sessuale, stalking. Si tratta di violenza di genere, cioè le donne la subiscono in quanto donne, riguarda trasversalmente donne di tutte le classi sociali. Esistono, però, gruppi più vulnerabili di altri. In Italia, sono le donne migranti che subiscono la violenza più grave, e anche le donne disabili sono molto esposte. Negli Stati Uniti, le donne nere sono più colpite delle bianche, in Canada le donne aborigene. Le forme della violenza possono assumere caratteristiche diverse e più gravi, se si combinano con altri fattori come l’orientamento sessuale, la religione, l’ origine etnica, la classe sociale, l’età, la nazionalità, la disabilità. La vulnerabilità si accentua laddove l’empowerment economico delle donne è basso e la maggior parte delle donne non lavora, dipendendo tra l’altro dal permesso di soggiorno del marito, come nel caso italiano delle marocchine e delle albanesi.

Le donne migranti di alcune comunità specifiche sono anche più esposte al traffico di esseri umani e alle mutilazioni genitali, problema presente per i Paesi del G7 con movimenti migratori di particolari comunità ed etnie.

La violenza contro le donne pone una barriera all’empowerment femminile, cioè allo sviluppo della libertà e indipendenza delle donne, genera paura e insicurezza nella loro vita e rappresenta un grande ostacolo al raggiungimento della parità, dello sviluppo, del benessere. Vittime sono anche bambini e bambine che assistono alla violenza della loro madre, e rischiano di vedere la loro vita futura fortemente segnata da questa esperienza. È diffusa l’idea che in presenza di tante vittime si debba correre ai ripari attraverso politiche di sola tutela e di aiuti alle donne. In realtà non basta, la via è un’altra.

Per combattere la violenza è necessario sviluppare programmi di empowerment, azioni che potenzino la libertà delle donne. Le politiche, le stesse pratiche delle associazioni devono rapportarsi alle donne non come a vittime e soggetti vulnerabili, ma a soggetti che possono essere protagonisti del percorso di uscita dalla violenza, pratica che da tanti anni viene portata avanti dai centri antiviolenza e anche in strutture pubbliche sanitarie di eccellenza. Si tratta di sviluppare azioni che potenzino la libertà femminile, sostenere i centri antiviolenza, che già mettono in pratica questo approccio da anni nei vari Paesi, potenziare e formare adeguatamente gli operatori e le operatrici dei servizi sociali, sanitari, di polizia, le forze armate, perché agiscano in un’ottica di empowerment femminile.

La sinergia di tutti gli attori in campo è la chiave del successo di queste politiche. Per prevenire, e contrastare la violenza contro le donne, c’è bisogno di una grande rivoluzione culturale che abbatta gli stereotipi di genere in tutti i Paesi e metta in discussione profondamente la radice della violenza contro le donne, il desiderio di dominio dell’uomo sulla donna. C’è bisogno di una grande offensiva educativa nelle scuole e più in generale nella società a tutti i livelli, verso gli uomini perché perdano il loro desiderio di possesso e per le donne, per far crescere il loro livello di autostima, fondamentale antidoto contro la violenza. C’è bisogno che gli uomini scendano in campo e non solo le donne. E che i media si facciano sentire, ma nel modo giusto, rinunciando alle immagini femminili irrispettose e stereotipate e dando spazio paritario alle donne e alle loro vite reali in trasmissione. È venuto il momento di lavorare intensamente in sinergia su questo a livello di G7, imparando gli uni dagli altri, perché i problemi sono gli stessi. Sarebbe un grande passo in avanti per tutti.
http://www.lastampa.it/2017/04/06/cultura/opinioni/editoriali/i-grandi-diano-una-risposta-alla-violenza-contro-le-donne-d8zH2Qw8iKpcb2zaUIfXvL/pagina.html

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