lunedì 17 aprile 2017

Siamo sicure che per essere donne occorra essere Superdonne? di Silvia Vegetti Finzi

E’ sempre con grande dolore che il mondo apprende la morte di una donna e di una mamma che lascia orfano un figlio di 9 anni. In questo caso si tratta di Carmen Chacòn, una figura straordinaria nella storia dell’emancipazione femminile. Nata con una grave malformazione cardiaca, è stata capace di percorrere la straordinaria carriera che l’ha portata a essere la prima donna nominata “ministra della difesa”, nella storia della Spagna e dell’umanità. Tutti la ricordiamo mentre giovane e bella, vestita di una camicetta bianca che rivela la sua gravidanza avanzata, passa in rassegna un reparto dell’esercito che la onora della presentazione delle armi. Anche dopo questo importante incarico, Carmen non ha mai abbandonato la lotta politica. Ed è giusto e doveroso riconoscere la forza e il coraggio con cui ha trasformato una inferiorità fisica in superiorità sociale. Credo che la sua testimonianza colpirà tutte le donne che, col femminismo, hanno rivendicato la parità dei generi, la specificità della loro identità sessuale e il diritto all’autodeterminazione. Ma poiché questo messaggio giungerà a tutte , alle ragazzine che stanno leggendo un libro di grande successo, come Bambine disobbedienti, alle adolescenti in cerca di figure ideali e alle giovani che chiedono conferma dei loro diritti, vorrei suggerire, a costo di essere impopolare, un momento di riflessione. Siamo sicure che per essere donne occorra essere Superdonne? Che l’eroismo personale sia sempre e comunque una virtù, anche quando coinvolge la vita di un figlio?
Nulla ci garantisce che Carmen non sarebbe morta lo stesso, anche se avesse fatto l’impiegata o la sarta, ma non è della persona che sto parlando, quanto della sua icona. L’elogio dell’onnipotenza è sempre pericoloso ma in modo particolare per una generazione, i cosiddetti nativi digitali, soggetta alle lusinghe della Rete, ove la vita simulata, ove tutto è possibile, prende spesso il posto della vita reale. Mentre i successi scolastici, artistici e professionali delle donne stanno trovando il riconoscimento che meritano, scivola sempre più nell’ombra l’altro versante dell’identità femminile, la maternità. Ne sono una riprova il calo delle nascite, l’incremento della sterilità, l’uso abituale di contraccettivi, non preventivi ma posticipati rispetto al rapporto sessuale. Non sappiamo più attendere, scrive Baumann, perché il presente è diventato l’unica dimensione del tempo: vogliamo tutto e subito.
Il rifiuto del limite impedisce di scegliere nella misura in cui ogni scelta comporta di stabilire delle priorità e di rinunciare a delle possibilità. Ma la maternità, idealizzata a parole è poi ostacolata nei fatti. Molte giovani donne si pongono il problema quando suona l’allarme dell’orologio biologico, ma anche allora non hanno esperienze di bambini piccoli, immagini che prefigurino il percorso materno, precognizioni del nascituro, parole per dire un desiderio che proviene dall’inconscio e chiede di essere riconosciuto e valorizzato. La donna che desidera essere madre ha bisogno, per accogliere, di essere accolta. Ma in una società competitiva non c’è posto per sentimenti materni, spesso scambiati per debolezza e inefficienza. Abbiamo bisogno di penombra e di silenzio per ritrovare ciò che manca a una identità compiuta e a una vita armoniosa. I valori femminili non sono migliori di quelli maschili, sono solo diversi e dobbiamo trovare il coraggio di dichiararlo per dare, come diceva un vecchio slogan, “alle donne la forza delle donne”.
http://27esimaora.corriere.it/17_aprile_11/siamo-sicure-che-essere-donne-occorra-essere-superdonne-43ed0332-1e92-11e7-a4c9-e9dd4941c19e.shtml

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