giovedì 30 novembre 2017

Le donne uccise che non rientrano nelle statistiche sui femminicidi quante sono? Intervista a Patrizia Romito, psicologa sociale a Trieste, tra le massime esperte in Italia sulla violenza di genere di FABIANA MARTINI

 "È aumentata la consapevolezza del fenomeno, se ne parla di più. Ma i casi non diminuiscono, non abbastanza". I numeri aggiornati
Le donne uccise che non rientrano nelle statistiche sui femminicidi quante sono?
 La violenza c’è e occorre vederla. E i femminicidi non sono un’invenzione: né della sinistra, né di qualche romanziere particolarmente truculento. L’anno scorso in Italia ce ne sono stati 117: li ha contati la Casa delle Donne di Bologna, perché nel nostro Paese non esiste una fonte istituzionale di rilevamento.
Si tratta di un fenomeno molto “democratico”, che non fa differenze geografiche (nel 2016 il 53,3% delle donne uccise per mano di un uomo era del Nord, il 26,7% del Sud e il 20% del Centro), tra popolazione istruita e non, tra giovani e vecchi; nulla ha a che vedere con l’uguaglianza che dovrebbe essere il fondamento e la meta della democrazia, invece, l’origine di questi assassini, che risiede in una società dispari, dove per usare un eufemismo i rapporti tra i generi sono sbilanciati e i diritti umani calpestati.
La violenza c’è e occorre parlarne. Ma bisogna farlo nel modo corretto, per non alimentare stereotipi e pregiudizi che sono alla base della cultura patriarcale dominante. Per questo stamattina a Venezia è stato presentato il Manifesto delle giornaliste e dei giornalisti per il rispetto e la parità di genere nell’informazione contro ogni forma di violenza e discriminazione attraverso parole e immagini. Perché le parole hanno un peso e il linguaggio può veicolare rispetto o discriminazione.
C’è qualcosa che si può fare a parte assistere impotenti a questo fiume di sangue? Ne abbiamo parlato con Patrizia Romito, docente di Psicologia sociale all’Università di Trieste, autrice tra l’altro di “Un silenzio assordante. La violenza occultata su donne e minori” (Angeli, Milano), una delle massime esperte italiane sul tema, una vita dedicata alle questioni di genere.
Le donne uccise che non rientrano nelle statistiche sui femminicidi quante sono?

Professoressa Romito, di violenza sulle donne si parla di solito in due occasioni: il 25 novembre e in seguito a un femminicidio. Le donne ammazzate sono state tante. Possiamo dire che oltre al numero di vittime sono cresciute anche l’attenzione e la sensibilità su questo tema?

“Sicuramente attenzione e sensibilità sono cresciute: anche lo spazio che viene dato sui media alle donne uccise era raro trovarlo vent’anni fa; vent’anni fa emergevano i casi misteriosi o particolarmente trucidi, ma una donna uccisa dal marito non credo avrebbe attirato l’attenzione a questo livello. Diciamo che è aumentata l’attenzione anche in maniera concreta perché corsi di formazione davvero per quasi tutti — operatori sociosanitari, forze dell’ordine, giornalisti, anche insegnanti — sono frequenti: non sono sufficienti, ma sono frequenti. Forse solo gli operatori giudiziari si sono tenuti un po’ fuori. Sono cose che quindici anni fa erano impensabili. C’è indubbiamente maggiore attenzione e consapevolezza, tuttavia:
1. non c’è nessuna indicazione che la violenza contro le donne sia diminuita, e questo è un dato fondamentale, perché è lì che vogliamo arrivare;
2. nelle risposte degli operatori, che sono spesso più informati e consapevoli, restano dei nodi spaventosi, per cui è difficile essere soddisfatti. Certo, son dei nodi che forse non apparivano vent’anni fa.  Vent’anni fa era difficile che una donna con figli lasciasse il marito e se ne andasse: oggi lo fa proprio perché è cresciuta la consapevolezza, la sensibilità sociale, i messaggi che arrivano alle donne le invitano a ribellarsi, a non subire violenza, ma quando questo avviene le donne sono fortemente penalizzate, se ci sono dei figli poi è un percorso difficilissimo, perché nel nostro Paese resta forte l’idea che il padre abbia diritto ad avere i figli anche se è un uomo violento.
Il tema è non solo affrontare l’emergenza, ma creare le condizioni perché una donna che reagisce alla violenza possa sopravvivere e avere un futuro.
“Lì impatta la crisi economica: uno studio inglese mostra che c’era stata una lieve flessione dei casi di violenza contro le donne, che però sono nuovamente aumentati attorno al 2008, quando è iniziata la crisi economica: questo rende più difficile l’uscita dalla violenza e forse peggiora anche il comportamento maschile, penso ad esempio a casi in cui lui perde il lavoro e lei lo conserva e si scombinano i ruoli tradizionali".
Com’è cambiato lo scenario da quando ha iniziato a occuparsi di violenza contro le donne e in particolare negli ultimi 10 anni?
"Molto e molto poco. Partendo dagli elementi positivi, sul piano legislativo l’Italia si è allineata ad altri Paesi nonché alla normativa sovranazionale con vari strumenti, tra i quali:
gli ordini di protezione civili (l. 154 del 4 aprile 2001)
la legge di contrasto alle mutilazioni genitali femminili (l. 7 del 9 gennaio 2006)
la legge sugli atti persecutori o stalking (l. 38 del 23 aprile 2009)
la legge di recepimento della Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori, contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale (l. 172 del 1° ottobre 2012)
il diritto al congedo retribuito per un massimo di tre mesi per le donne inserite in percorsi di protezione dalla violenza di genere (D. Lgs. n.80 del 15 giugno 2015, art. 24)
la legge recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto alla violenza di genere (…) c.d. legge sul femminicidio (l. 119 del 15 ottobre 2013)
la Convenzione di Istanbul (la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (2011) ratificata con l. 77 del 27 giugno 2013) e il successivo Piano straordinario del Governo contro la violenza di genere (2015), con i quali il nostro Paese si è dotato di uno schema di riferimento e di un quadro legislativo che permette di leggere la violenza come un fatto strutturale, elemento di una situazione più generale di discriminazione e subordinazione delle donne e di sviluppare misure di prevenzione e di contrasto in un’ottica globale e multilivello
il Decreto legislativo che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime del reato (D. Lgs. n. 212 del 15 dicembre 2015 di Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012).
Ma nonostante tanti anni di lotte, di attivismo femminista, di modifiche legislative, di informazione e sensibilizzazione, le donne continuano ad essere uccise".

La violenza è in aumento o siamo semplicemente di fronte all’emersione di un fenomeno?
“I dati italiani, con un trend simile anche in altri Paesi, ci dicono che negli ultimi anni sono diminuiti gli omicidi in generale (in base a dati forniti dalla Direzione Centrale della Polizia Criminale dal 2008 al 2013 si passa da 614 a 501), mentre la proporzione di vittime di sesso femminile è aumentata dal 24% al 35%; detto questo anche i numeri delle donne uccise sono numeri per difetto, perché ci sono donne scomparse, donne che si suicidano, donne che muoiono per problemi di salute causate da una vita di violenze, e non rientrano nel numero dei femminicidi".

Rimane poi il problema del rilevamento delle vittime di violenza.
“Non abbiamo dati ufficiali: gli unici dati a disposizione sono quelli raccolti dalla Casa delle Donne di Bologna e dall’Eurispes, un’agenzia privata che collabora con il Governo. Non esiste un sistema di rilevamento degli omicidi che tenga conto del rapporto aggressore-vittima".

C’è almeno maggiore consapevolezza, se non nella popolazione negli operatori che si trovano a maneggiare quotidianamente questa violenza?
"È aumentata un po’ dappertutto tranne a mio avviso nella magistratura, ma a questo proposito vorrei sentire qualche magistrato e chiedergli se conferma questa mia impressione. Sicuramente gli altri professionisti fanno una formazione quasi sempre multidisciplinare che contempla, come previsto dalla Convenzione di Istanbul e dalle Linee guida dell’OMS, la presenza dei centri antiviolenza, perché una formazione sulla violenza contro le donne senza i centri antiviolenza è monca e pericolosa. La mia impressione è che i magistrati facciano una formazione tutta interna senza un’esposizione a questa fonte di conoscenza assolutamente fondamentale. E poi c’è da dire che il potere che ha un magistrato è superiore al potere di altri professionisti: è lui che decide se quel bambino dovrà andare in visita dal padre violento: certo, lo farà sulla base della perizia psicologica e del rapporto degli assistenti sociali, ma alla fine la decisione sarà sua".

Spesso s’invocano pene più severe, ma è bene ricordare che la nostra è una buona legislazione: al di là del fatto che, se non si aggrediscono le cause strutturali della violenza, difficilmente si potrà pensare di risolvere questo fenomeno, cos’è che non funziona? Cos’è che a un certo punto s’inceppa?
"Continua a non funzionare il fatto che, a parte nelle operatrici dei centri antiviolenza, nella maggior parte degli operatori di tutte le altre categorie professionali resta la confusione tra ciò che è conflitto e ciò che è violenza, questo è il problema principale, per cui vengono prese decisioni che potrebbero andar bene in caso di conflitti, ma sono vietate dalla Convenzione di Istanbul in caso di violenza: un esempio è la mediazione familiare, che in caso di violenza è vietata dalla Convenzione di Istanbul; il problema è che la violenza non viene riconosciuta come tale: ci sono delle situazioni in cui il giudice impone la mediazione in casi di violenza manifesta, eclatante".

Siamo di fronte a un problema di formazione e di conoscenza della legge. Ma dove sta la causa originaria, nella cultura patriarcale, che tende a mettere sempre e comunque la famiglia al primo posto?
"Nella nostra cultura l’uomo viene prima di tutto. D’altronde quello che gli uomini violenti pretendono oggi era legittimo fino al 1975 e molti continuano a pensare che sia giusto così".

Sapendo che la coperta è corta, da dove è a suo avviso più urgente cominciare?
"Investire di più sulla prevenzione, che vuol dire formazione: questa è la prima delle tre indicazioni della Convenzione di Istanbul (assieme a tutelare e contrastare), ma purtroppo finora non ci sono segnali forti che la società italiana sia pronta a fare questi investimenti. Un’indagine del 2013 di We World — “Quanto costa il silenzio?” — ha stimato in circa 16,7 miliardi di euro annui il costo totale economico e sociale della violenza contro le donne nel nostro Paese, mentre la stima di contrasto e prevenzione, sotto forma di investimenti in capitale umano, è di 6,3 milioni di euro".

E poi serve la politica, che dev’essere il traino, non la scorta di queste scelte; servono le istituzioni, che devono essere capaci di riconoscere i saperi delle donne e di metterli al centro, promuovendo una formazione capace di ribaltare la prospettiva attuale.

 In questo campo la prof. Romito, coinvolgendo l’Università di Trieste e il territorio, si è spesa e continua a spendersi moltissimo: da tempi non sospetti sono stati attivati numerosi corsi sulla violenza contro le donne in vari corsi di laurea, è stata istituita una borsa di dottorato (iniziativa finora unica in Italia), è stato aperto e implementato un sito dedicato agli adolescenti (www.unitsit/noallaviolenza), è stato curato e messo a disposizione di tutti il manuale “La violenza su donne e minori. Una guida per chi lavora sul campo”, che ha vinto il Premio Biagi per la Qualità della Comunicazione e lo scorso maggio è stato presentato in Senato alla presenza della ministra Fedeli, ora sta per partire il corso di perfezionamento universitario di primo livello “Violenza di genere e femminicidio: prevenzione, contrasto e sostegno alle vittime”, che inizierà il 12 gennaio 2018 e si propone di formare professionisti in grado di rispondere alle sfide poste dalla violenza contro le donne. Inoltre a metà ottobre è stata responsabile scientifica del convegno promosso a Rimini dalla Erickson: un evento a cui hanno partecipato oltre 400 persone, il 90% delle quali donne; erano soprattutto operatrici e volontarie dei Centri antiviolenza, psicologhe, assistenti sociali, educatrici, poi – in numero inferiore – insegnanti, professioniste dell’ambito sanitario, avvocate…

Eppure ancora non basta. Non smettiamo di parlarne, non spegniamo i riflettori il giorno dopo il 25 novembre: forse questa può essere una piccola parte della soluzione.
https://www.agi.it/blog-italia/idee/violenza_donne_femminicidio_statistiche_intervista-3163859/post/2017-11-25/

mercoledì 29 novembre 2017

Un italiano su 6 pensa che la donna «se la vada a cercare» di Roberta Scorranese

Per un italiano su sei, se una donna subisce una violenza in qualche modo «se l’è cercata». Perché, in sintesi, se tradisci il marito è normale che questo diventi violento (lo pensa il 16% di questa fascia d’opinione). Perché se ti vesti in un certo modo, che ti aspetti? (non è uno scherzo, lo dichiara candidamente il 14%). E poi, se subisci e non denunci subito, ben ti sta (per un granitico e, si suppone, integerrimo 26%). Certo, è una porzione d’Italia calvinista quella che emerge dall’indagine Ipsos per WeWorld e che anticipiamo, a ridosso della Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne, il 25 novembre. Giudizi intransigenti e trasversali, emessi da uomini e donne di un’età che va dai 18 ai 65 anni. Ovviamente, c’è una percentuale maggiore di italiani che invece sta dall’altra parte (il 49% degli intervistati pensa che le colpe della violenza di genere non siano in alcun modo imputabili alla donna) e pertanto il presidente di WeWorld, Marco Chiesara, commenta: «La ricerca ci restituisce l’immagine di un Paese spaccato a metà, tra coloro che si schierano in modo deciso a favore delle donne, e chi invece considera il fenomeno della violenza un fatto eminentemente privato».
Ma questo privato, dicono le cifre, diventa sempre più pubblico. Le posizioni intransigenti infatti, negli ultimi mesi, si sono condensate in una reiterata, compiaciuta e maliziosa domanda: ma perché tutte queste donne che oggi denunciano molestie avvenute anni fa hanno aspettato tanto? Perché non hanno parlato subito? E forse la riflessione di WeWorld Onlus (che dà il via a un festival milanese da domani, dove queste considerazioni verranno allargate) dovrebbe partire da questa domanda. Meglio: da questo atteggiamento, che non è solo maschile, anzi. È un atteggiamento proprio di migliaia (milioni) di donne in tutto il mondo, le quali, a ogni nuova denuncia scuotono la testa con condiscendenza e sentenziano: ma perché parli ora? Sottinteso: perché sei stata così stupida?

Tutto questo non sa di maschilismo, sa di superficialità. Ha il colore di una contabilità emotiva che si ferma alle cifre secche, alla battuta ad effetto, alla provocazione spicciola (che porta decine di retweet o un alto share televisivo pomeridiano). Al maschilismo sembra essere subentrato il «commercialismo dei sentimenti»: due più due fa quattro, poche storie. Battuta. Retweet. Ma la profondità richiede immaginazione: per molti è una fatica immaginare che le centinaia di denunce arrivate tutte insieme e all’improvviso «dopo tanti anni» siano il risultato di una violenza meno esplicita ma pervicace, che si chiama complicità, ammiccamento, torpore etico (come ha notato Charles M. Blow sul «New York Times» qualche giorno fa). Ci vuole uno sforzo di fantasia per cogliere la debolezza dietro una mancata denuncia. Debolezza edificata dalle stesse persone che avallano la battuta pruriginosa. Sì, perché altri dati di questa corposa indagine condotta su mille persone sono illuminanti: il 19% ritiene accettabile fare battute a sfondo sessuale, il 17% pensa che fare avances fisiche esplicite non sia poi un grande problema.

La salacità come condotto facile alla nobile tradizione dell’anticonformismo: chissà quante persone (uomini e donne) si staranno irritando, leggendo queste parole. «Ancora buonismo, ancora con la storia delle molestie — si dice —: ci sono da sempre, tanto vale abolire i luoghi di lavoro» (questa è la battuta più ricorrente). Ora, i politici più accorti hanno capito da anni l’importanza della salacità ammiccante e forse è per questo che vincono sempre. In nome della differenza tra i generi: se togliamo il piacere del corteggiamento, che cosa ci resta? — dicono, e giù gli applausi. Sì, ci vuole immaginazione e cultura per capire che alle donne il corteggiamento piace moltissimo, ma nei momenti giusti. Ci vuole fantasia per capire che non tutto si risolve dividendo le cose in bianco e nero.
L’amore richiede cultura. E la cultura richiede uno sforzo per andare oltre l’applauso e per fermarsi all’ascolto. All’ascolto di una donna che non ha denunciato subito, di un uomo che non sa controllare la propria violenza, di una ragazza che vuole baciare chi vuole. Ecco perché quella di WeWorld e della Giornata contro la violenza non è solo una battaglia per le donne. È per le donne e per gli uomini. Così si spiega il famoso discorso della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, poi diventato un pamphlet dal titolo Dovremmo essere tutti femministi: la differenza non va abolita, ma va reinventata. «Cambiamo quello che insegniamo alle nostre figlie».

martedì 28 novembre 2017

Violenza sulle donne: un 25 novembre tra ipocrisie e nuove libertà Da una parte il silenzio del ministro Orlando, dall'altra il messaggio lanciato dalla Boldrini con un'aula di Montecitorio tutta al femminile. Le sfide da affrontare sono tante, ma una rivoluzione è in atto. E indietro non si torna. di CRISTINA OBBER



Il 25 novembre non è una celebrazione, è la commemorazione di tutte le violenze subite dalle donne e dalle bambine di tutto il mondo. È una data scelta dalle Nazioni Unite in memoria delle tre sorelle Mirabal, anime ribelli e coraggiose assassinate in un’imboscata nel 1960 dalla dittatura domenicana alla quale si opponevano; la loro morte scosse il Paese, diede linfa alla lotta e divenne riscatto, liberazione.
C’è chi dice che le giornate non servano, io penso invece che pur vigilando sulle strumentalizzazioni e pur mantenendo viva un’attenzione continuativa in ogni mese dell’anno su ogni tema che ci sta a cuore, sia importante creare occasioni per informare, discutere e manifestare collettivamente. Per non dimenticare ciò che è stato, per dirsi cosa sarà.

LAURA BOLDRINI PORTA LE DONNE A MONTECITORIO
Il 25 novembre è anche la giornata dei bei discorsi che rimangono tali, delle passerelle istituzionali, dei facciamo finta che tutto va bene.
Io quest’anno sarò a Montecitorio, in un’aula che la presidente Laura Boldrini ha voluto piena di donne; chissà se ci sarà anche la ministra Lorenzin, dalla quale Serafina Strano, stuprata da un paziente durante un turno di guardia medica in provincia di Catania, si aspettava almeno una telefonata. Invece niente di niente. La dottoressa ha ripreso il lavoro nella sua solitudine, condividendo con le colleghe le paure per nuove aggressioni, in assenza di interventi per la sicurezza. La ministra probabilmente minimizza come fa con le continue violazioni della legge 194. Per lei va tutto bene, le interruzioni di gravidanza diminuiscono. Peccato che meno interruzioni nelle statistiche non significhino solo maggior uso di contraccettivi ma anche il ritorno all’aborto clandestino a cui mai avremmo pensato di tornare. Anche questa è violenza sulle donne.
In questi giorni è tornato alla cronaca il caso di Firenze, dove due studentesse americane hanno denunciato per stupro due carabinieri che si erano offerti di accompagnarle a casa. Nell’incidente probatorio la difesa ha insistito sulla consensualità dei rapporti sessuali, come sempre accade in questi casi e ogni volta ci fa tornare con la memoria al documentario Processo per stupro girato al tribunale di Latina a fine Anni ’70.
A Montecitorio non ci saranno uomini, un’aula piena di donne è certamente un atto simbolico significativo. Ma io avrei concesso una seggiolina al ministro della Giustizia Orlando.

ODIO L’INDIFFERENZA
Le dirigenti nazionali di Cgil, Cisl e Uil avevano lanciato a giugno 2017 una protesta contro la riforma del sistema penale in tema di giustizia riparativa che inseriva il reato di stalking tra quelli per cui è previsto un risarcimento pecuniario a discrezione del giudice e senza l’approvazione della parte lesa; avevano chiesto al ministro un incontro ma Orlando non si era degnato di rispondere. Loro non si sono date per vinte e il seguito della protesta aveva costretto il ministro a impegnarsi pubblicamente per rimediare allo scempio. Invece la riforma è entrata in vigore il 3 agosto senza nessun intervento, mentre gli italiani e soprattutto le italiane facevano i bagagli per il mare. E forse anche lui, Orlando.
Siamo a fine novembre e dopo numerosi emendamenti presentati da varie parti politiche, finalmente il governo ha inserito nella legge di bilancio la modifica alla riforma che, se approvata, ne escluderà il reato di stalking.
Nel frattempo a Torino una giudice, applicando la legge, ha ritenuto congruo un risarcimento di 1.500 euro per due mesi di atti persecutori, nonostante il rifiuto della vittima. Reato estinto. Mi sarebbe piaciuto portare questo caso all’attenzione del ministro e chiedergli conto della sua inerzia. Di una indifferenza che ritroviamo anche in tante donne che siedono in parlamento, il maggior numero di donne nella nostra storia, che nemmeno si indignano per la mancanza di una ministra delle Pari opportunità.
La violenza è un problema culturale, dunque va affrontato in un'ottica di prevenzione, su tutti i livelli, con inteventi formativi.

UN GOVERNO LONTANO DALLA GENTE
Anche per ciò che riguarda la violenza contro le donne c'è uno scollamento tra il governo e la società: l’approccio istituzionale è quello dell’intervento emergenziale, del tappabuchi. Nessun intervento sull’educazione, dove tutto dipende dall’iniziativa personale di pochi insegnati e dirigenti. Si è ratificata la Convenzione di Istanbul che dedica ampio spazio ad educazione e prevenzione ma non si è di fatto applicata. Anche da Telefono Rosa come dalla rete dei centri antiviolenza Di.r.e il messaggio in questi anni è chiaro: la violenza è un problema culturale e dunque va affrontato in un’ottica di prevenzione, su tutti i livelli, con interventi formativi; il sostegno alle vittime non può prescindere dal rispetto dei loro tempi e delle loro scelte, i protocolli non tengono conto che ogni donna, ogni famiglia è diversa da un’altra, così come ogni uomo violento è diverso da un altro uomo violento, e questo vale soprattutto per la prevedibilità o imprevedibilità dei suoi atti. Ci vuole grande attenzione per i bambini coinvolti che vengono a volte smistati come pacchi nelle case famiglia, anch’esse divise tra quelle nate con un valido intento sociale e quelle che sono semplicemente diventate un buon business. Quando si stanziano dei finanziamenti, ai cittadini non è dato capire dove vadano i soldi alimentando il dubbio che ne beneficino gli amici degli amici o associazioni e centri antiviolenza nati sull’onda del finanziamento in arrivo, senz’arte né parte.
Sempre al ministro Orlando vorrei chiedere come mai, insieme al ministro dell’interno, ha emesso un decreto che per gli eredi delle vittime di reati violenti (come il femminicidio) quantifica un importo di indennizzo di Stato che non arriva a 10 mila euro. Apprezzo che la cifra prevista sia stata aumentata da 2,6 a 7,6 milioni di euro, ma il punto è che la dignità delle persone passa anche attraverso il valore pecuniario che si riconosce alle loro vite. Orlando è stato sentito in questi giorni dalla Commissione parlamentare sul femminicidio, e tra le cifre monitorate dal suo ministero si evince che nel 98% dei casi l’autore è un uomo e la nazionalità è italiana nel 77,6% dei casi. Cifre che non fanno che confermare quello che continuiamo a scrivere in questi anni e che andrebbero ricordate a tutti i negazionisti, coloro che negano ci sia un problema maschile e perseverano nel dire che la violenza è violenza e coinvolge entrambi i generi. Certo, esistono le donne stronze, lo sappiamo. Ma qui parliamo di morte.
Esistono anche le negazioniste, ed è il sessismo interiorizzato dalle donne il più pericoloso.

DALLE ANCELLE ALLA FORZA DELLE DONNE
Tra i negazionisti ci sono gli integralisti cattolici (quelli del Family day che esaltano la moglie sottomessa alla felicità del marito) con i loro penosi tentativi di afferrare qualcosa che gli è già sfuggito di mano. Che se ne facciano una ragione, per il padre padrone la pacchia è finita, le donne non sono più disposte a chinare il capo e passare la vita ad espiare, si riprendono la propria libertà.
Esistono anche le negazioniste, ed è il sessismo interiorizzato dalle donne il più pericoloso; è quello che ci fa crescere e costruire la nostra affermazione soltanto in riflesso a quanto un uomo ci dica brava. Queste ancelle del patriarcato sembrano rapite dal proprio personale tentativo di accattivarsi quel pubblico in prevalenza maschile di cui ricercano l’approvazione. Quando le incontro non posso che provare una umana pietas ricordando quel Perdona loro che non sanno quello che fanno. Sono poche, ma sono lo specchio di quanto sia faticoso il percorso di liberazione, inarrestabile ma pieno di ostacoli. Sono loro le vittime più tristi di questo 25 novembre. Perché quelle che parleranno a Montecitorio, attraverso testimonianze di violenza e di riscatto, ci daranno invece una lezione di forza. Parlerà anche Antonella Penati, mamma di Federico Barakat, ucciso dal padre in un incontro protetto presso la sede Asl di San Donato Milanese. Tutti assolti gli operatori dei servizi sociali che avevano in custodia il bambino al momento del figlicidio, ma la Corte dei diritti umani di Strasburgo proprio in questi giorni ha chiesto conto al governo italiano della morte del bambino, dando seguito al ricorso di una madre che non ha mai smesso di lottare. Anche questo ascolto sarebbe valso la seggiolina per Orlando.

LE COSE CAMBIANO (PER FORTUNA)
Nonostante di fronte a ogni notizia di violenza ci sembri che non cambi nulla, tante cose sono cambiate e altre stanno cambiando. D’altronde siamo il paese che nell’1981 prevedeva ancora l’attenuante per delitto d’onore, che solo nel '96 ha decretato che lo stupro è reato contro la persona e non contro la morale pubblica. Le cose cambiano ma ci vuole tempo, perseveranza, e coraggio. Nonostante le difficoltà, sono in aumento le denunce per violenza sessuale e questo anche per una maggiore consapevolezza delle donne di avere il diritto di chiedere giustizia, di non sentirsi in colpa. E questo sia per la violenza sessuale sia per le molestie e per la violenza domestica. Denunciare significa chiarire di non essere complici. Il femminicidio è una costante figlia della nostra cultura: un tempo le notizie rimanevano nelle pagine di cronaca locale, oggi occupano spazi in prima pagina e nonostante una narrazione ancora molto stereotipata e rivittimizzante (procura nuova violenza alle vittime, come quando si giustifica parzialmente l’uomo violento colpevolizzando la donna) diventano visibili all’intero Paese. Queste morti esistono. Non possiamo più ignorarle, dentro di noi in qualche modo l’informazione ricevuta sedimenta e dobbiamo tenerne conto. La visibilità della violenza crea un effetto domino (come si è visto per la questione molestie prima in America e poi in Italia) della denuncia che scaturisce dal sapere di non essere sole.
Nel 2016 a Bitonto, in Puglia, l’associazione Io sono mia per il 25 novembre ha steso panni su tutta la piazza principale del paese con lo slogan Panni sporchi in piazza; un messaggio semplice e chiaro per rappresentare la rottura con un passato di omertà e rassegnazione, dove tra moglie e marito non si poteva mettere il dito nemmeno se lui la massacrava di botte.
Oggi ci sono tante iniziative impensabili solo dieci anni fa. E non parlo solo delle piazze piene di donne che prima con Se non ora quando e oggi con Non una di meno hanno riunito le donne nella loro protesta.

NUOVE PRATICHE
Il 18 novembre ho tenuto una formazione sulla violenza di genere organizzata dal Centro per le famiglie del comune di Rimini. In aula, oltre ad alcune operatrici del centro, ufficiali di polizia, carabinieri e guardia di finanza, sezione anticrimine; personale medico, psicolog*, assistenti sociali, avvocat*, operatrici del centro antiviolenza della città; una magistrata, un’insegnante. Una platea di 70 persone tra cui anche alcuni uomini di un centro per il recupero maltrattanti. È l espressione di una consapevolezza comune della necessità di confronto e collaborazione per affrontare con una metodologia multidisciplinare un problema che nessuno più può considerare privato e personale. Una consapevolezza nuova, che si fa strada sempre di più in tutte le professioni.
Il 25 novembre a Venezia verrà presentato il Manifesto delle giornaliste e i giornalisti per il rispetto e la parità di genere nell’informazione, affinché la narrazione mediatica della violenza non accosti ai crimini termini fuorvianti come ‘troppo amore’ o raptus, perché chi ama non uccide e in più del 90 % dei casi gli uomini violenti si rivelano lucidi e determinati. L’importanza del linguaggio si esprime anche negli aspetti che sembrano minori, come quelli che riguardano l’uso della grammatica che declina le professioni al femminile, per dire che non si fanno lavori da maschio, ma che si lavora portando sé stesse nel mondo. La violenza diventa sempre più visibile dunque, in tutte le sue forme, ed è in questo riconoscimento collettivo che una società evolve e può dire basta. Dare un volto - anche anonimo- agli uomini violenti che abusano di potere e controllo, nel loro privato come nel mondo del lavoro, costringe tutti gli uomini ad ammettere di aver taciuto per convenienza di genere, li costringe a guardarsi negli occhi senza più fingere che non li riguardi. E a capire che se le relazioni si basano sul potere non si può parlare di benessere e tantomeno di felicità, nemmeno per loro.

È in atto una rivoluzione, e nonostante il percorso ci ponga di fronte tante sfide, non si torna indietro.

Un giorno in un istituto tecnico un ragazzo mi disse «Il mondo si cambia di botto».

Cerco di ricordarlo.
http://www.letteradonna.it/it/articoli/punti-di-vista/2017/11/24/25-novembre-giornata-contro-violenza-donne/24808/

lunedì 27 novembre 2017

OGGI VENERDÌ 1 DICEMBRE alle ore 20.30 VI ASPETTIAMO


Dopo aver raccontato il coraggio e la forza delle donne che denunciano molestie, abusi, stupri e dopo aver sentito le voci degli uomini che si schierano contro la violenza di genere concludiamo il percorso di quest'anno con i possibili percorsi che le donne possono intraprendere dopo la violenza
           
           VENERDÌ 1 DICEMBRE alle ore 20.30
                  Sala “La Pianta” di Corsico via Leopardi, 7
    “Dopo la violenza – Cosa ne è delle donne?”
  

Ci confronteremo con Cristina Carelli e Malvina Monti del CADMI (Casa Delle Donne Maltrattate di Milano) operatrici de “La Stanza dello Scirocco” il Centro Antiviolenza di Corsico

Per costruire, donne e uomini insieme, un mondo libero dalla violenza di genere.

domenica 26 novembre 2017

Le ipocrisie della giustizia. Se denunciare uno stupro è un calvario Le giornaliste della redazione Globalist

La giustizia di chi? Quando chiedono alle donne di avere il coraggio di denunciare si dimenticano spesso quel che accade nella realtà. Ovvero, un'altra violenza: dalle urla mancate ai jeans...
Tanto lungo è il cammino dei diritti per le donne

"Portavate gli slip? Avete trovato affascinanti, vi piacevano, erano sexy quei carabinieri?". Questo è solo un frammento delle domande alle quali sono state sottoposte le due studentesse americane che hanno denunciato di essere state stuprate da due carabinieri lo scorso 6 settembre a Firenze. Questo accade nel corso di un incidente probatorio.
Quando dicono, ci dicono: 'donne, dovete avere coraggio, denunciare', poi non raccontano che spesso una denuncia è un altro calvario. E che anche di questo - delle sentenze nei tribunali, ad esempio, - si dovrebbe parlare quando si parla di violenza sulle donne. Si dovrebbe parlare di commissariati e caserme quasi in maggioranza formati e popolati da uomini, di sensibilità tutte da recuperare.
Si dovrebbe parlare di aule di Giustizia.
La Giustizia di chi? Queste sono alcune delle sentenze su stupri acclarati. A quante cose deve pensare una donna prima di avere la forza di denunciare? Se è vergine, che mutandine aveva, se indossava i jeans, se ha urlato e come, se lui, lo stupratore, ha raggiunto l'orgasmo. Deve pensare che se sono in gruppo, i bastardi, avranno meno problemi. Vorremmo una giustizia giusta e non  i soliti "pat pat" accondiscendenti in occasione dell'8 marzo o del 25 novembre, la giornata contro le violenze sulle donne. Vorremmo uno Stato dalla nostra parte, nei fatti, non a parole. E sempre.
Le giornaliste della redazione Globalist

Non sei più vergine e quindi...
Sentenza numero 6329 del 20 gennaio 2006, sezione Penale della Cassazione. Una ragazzina quattordicenne, non più vergine, avrebbe subito una violenza limitata dopo lo stupro del patrigno, un uomo di 40 anni. Un atto non così grave, insomma

I famosi jeans
La sentenza numero 1636 della Cassazione, del 1999, negò l’esistenza di uno stupro perché la vittima “indossava i jeans”. ovvero "un indumento che non si può sfilare nemmeno in parte senza la fattiva collaborazione di chi lo porta“.

Stupro di gruppo
Niente più carcere obbligatorio per chi commette uno stupro di gruppo. L’inattesa decisione arriva dalla terza sezione penale della Corte di Cassazione, che ha in questo modo interpretato una sentenza della Corte Costituzionale del 2010. Si parla di un caso di violenza di gruppo su una minorenne dove è stato accolto il ricorso di R.L. e di L.B.: i due erano in custodia in carcere come da sentenza del tribunale di Roma del 5 agosto 2011.

Stupro di gruppo 2
La sentenza 40565 del 16 ottobre 2012 la Corte di Cassazione ha deciso che durante una violenza di gruppo, uno sconto di pena deve essere concesso a chi “non abbia partecipato a indurre la vittima a soggiacere alle richieste sessuali del gruppo, ma si sia semplicemente limitato a consumare l’atto”. In pratica Si possono commettere numerosi stupri portati a totale compimento - con la sopraffazione fisica della donna e della sua dignità - e nonostante ciò vedersi concessa l’attenuante di aver commesso un reato di non troppo rilievo, per il quale si può ottenere la riduzione della pena. È quanto sostiene la Cassazione, che si è espressa in disaccordo con un verdetto di merito che, invece, riteneva che una violenza sessuale portata a estremo compimento sia di per sé un reato grave e non un episodio di «minore gravità».
La vittima non ha urlato
23 marzo 2017. L'ha palpeggiata e lo ha ammesso, ma sostenendo che lei fosse consenziente. Lei invece non lo era, gli diceva "basta" e lo ha denunciato per violenza sessuale. Ma il tribunale di Torino le ha dato torto, assolvendo l'uomo di 46 anni perché il fatto non sussiste, proprio perché la sua vittima gli ha soltanto intimato di smetterla senza gridare, chiedere aiuto o reagire violentemente. L'assoluzione è stata motivata in base alla "debole" reazione della donna alle molestie.

America, se manca l'orgasmo
Non c’è stato l’orgasmo e per questo il violentatore non può essere punito”: la sentenza arriva dagli Stati Uniti. Secondo il sito web BuzzFeed, il ministero dell’istruzione ha aperto un procedimento ufficiale visto che ben 14 ragazze hanno denunciato il Dipartimento di sicurezza pubblica della Usc. Una ragazza ha anche riferito di essere stata violentata da un suo compagno di studi che però l’ha passata liscia perché “non ha avuto un orgasmo”.

Inghilterra, occhio allo slip
Nel settembre 2013 una ragazza inglese di nome Suzanne, stuprata dal suo fidanzato nel dicembre 2012, ha letto in una lettera spedita dall’ufficio della Procura, che fra le ragioni che hanno portato ad archiviare il caso e a far cadere l’accusa di violenza sessuale che pesava sulla testa dell’uomo, vi era il fatto che lei indossava gli Spanx, degli slip modellanti contenitivi, per cui il procuratore ha considerato impossibile un rapporto sessuale. Un po' come i jeans, insomma.
http://www.globalist.it/news/articolo/2015375/le-ipocrisie-della-giustizia-se-denunciare-uno-stupro-a-un-calvario.html

sabato 25 novembre 2017

Un altro 25 novembre da Angela Carta

Questa data ha un alto valore simbolico. Ci ricorda che tutto il mondo – almeno per un giorno – apparentemente combatte unito contro la violenza sulle donne.

Nei restanti 364 giorni dell’anno, ci sono donne e uomini impegnati nel contrasto quotidiano alla violenza di genere, spesso in assenza di mezzi, risorse economiche e supporto anche solo morale. Il pensiero va ai numerosi, necessari, centri antiviolenza italiani: rifugi e luoghi di ascolto animati dalla volontà e dalla dedizione di operatici formate e piene di dedizione e passione, troppo spesso lasciate sole dalle amministrazioni locali e dai governi nazionali.
Questo post, però, non vuole essere pessimista (anche se del sano realismo fa sempre bene): da qualche giorno si è concluso il G7 delle Pari Opportunità, un’occasione di riflessione e stimolo all’adozione di misure concrete atte all’eliminazione della violenza e all’abbattimento degli spessi muri che minano il raggiungimento della parità. Sì è rilanciato il 1522, numero nazionale per le emergenze legate alla violenza sulle donne, che ha il compito di fornire alle richiedenti indicazioni su strutture socio-sanitarie pubbliche e private del territorio e che assolve al più matematico scopo di mappare le emergenze e creare una rete efficace di monitoraggio e aiuto.
Ovviamente, parliamo di un primo intervento, perché il grande lavoro è in realtà svolto dalle associazioni, dai centri, dagli ospedali e dai consultori: tutti soggetti per lo più abbandonati al proprio destino, il cui grande impegno viene sempre lodato nelle occasioni mondane.
Questo G7 si è concluso poi con la promessa di un piano triennale anti-violenza, mentre la legge di bilancio ha previsto, per l’anno 2018, fondi per un totale di 33,9 milioni di euro da destinare ai centri antiviolenza e alle misure di contrasto alla violenza di genere. Tutto molto positivo, e speriamo non restino solo previsioni.
E quindi eccoci: un altro 25 novembre, carico di aspettative e sogni, ma anche di speranza. Il caso Weinstein ha avuto – nel disgusto generale – il merito di risvegliare lo spirito battagliero di donne che per mesi o anni hanno negato gli abusi subiti, senza mai dimenticarne le ferite. Donne che hanno finalmente trovato il coraggio di denunciare, trasformando in amici quei media troppo spesso severi e carichi di giudizio. Questo 25 novembre è un potenziale spartiacque: può aiutarci a ribadire a gran voce che non solo il bacio senza consenso dato dal principe alla Bella Addormentata è una forma di abuso, e che anche le attenzioni morbose non desiderate lo sono; può servire ad affermare che il bombardamento di battutine a sfondo sessuale sul posto di lavoro non è gradito, e che la denigrazione e le umiliazioni subite da un partner frustrato non sono l’amore che meritiamo.
Non è mai troppo tardi per dire basta alla violenza, alla negazione e alle forme di controllo (e mai come oggi consiglio la lettura di “Donne che amano troppo” di R. Norwood).
Dobbiamo pretendere che questo 25 novembre non sia come gli altri che lo hanno preceduto. Abbiamo il diritto di pretendere che qualcosa cambi, di sentirci parte di una comunità solidale, unita oggi come negli altri giorni dell’anno. E se questo non accadrà presto ci ritroveremo a vivere la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne come il giorno del compleanno o di Natale, quando si sta insieme senza parlare poi di nulla in particolare, perché tanto ci pensano le frivolezze ad occupare il tempo.
http://www.dols.it/2017/11/25/un-altro-25-novembre/

venerdì 24 novembre 2017

Violenza donne, nei primi 10 mesi dell'anno 114 donne uccise

Studio Eures, il dato conferma l'andamento registrato nel 2016. Boldrini alle vittime: 'Denunciate. E gli uomini non violenti escano dal silenzio'

Nei primi 10 mesi del 2017 sono state 114 le donne vittime di omicidio volontario, un triste consuntivo che conferma l'andamento registrato nel 2016. Lo evidenzia il quarto rapporto di Eures sul femminicidio in Italia, diffuso in occasione della giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne che si celebra il 25 novembre.

Tra il 2015 e il 2016 il numero di femminicidi in Italia è tornato ad aumentare, passando da 142 a 150 (+5,6%), soprattutto a causa di una forte crescita del fenomeno nelle regioni del Nord e del Centro. Sempre nel 2016 a livello di regioni il numero più alto di femminicidi lo si è registrato in Lombardia (25 vittime), seguita dal Veneto (17, ma in forte aumento rispetto ai 7 dell'anno precedente), terza la Campania (nonostante un calo dei casi, passati 31 a 16), e quarta l'Emilia Romagna (13). Nello scorso anno il 76,7% dei femminicidi è maturato in un contesto familiare e affettivo, con una forte connotazione negativa data da possesso e gelosia, ma anche dall'isolamento e dal disagio.

"Le donne non possono essere messe davanti al bivio di uscire dai social network o accettare di subire violenza. A loro dico: denunciate, siamo in uno Stato di diritto e possiamo difenderci attraverso le leggi". Così Laura Boldrini, presidente della Camera, in una serie di tweet. Boldrini ha aggiunto: "Agli uomini non violenti dico: uscite dal silenzio. La battaglia contro il femminicidio si vince solo se siamo insieme". Boldrini ricorda il prossimo appuntamento: "Mai accaduto prima: il 25 novembre l'Aula di Montecitorio si riempirà di donne. Hanno chiesto di venire in tante, tantissime, segno che c'è bisogno di ascolto #InQuantoDonna". E ringrazia il capo dello Stato: "Grazie al Presidente Mattarella che riceverà al Quirinale le donne che prenderanno la parola in Aula la mattina del 25 novembre".
http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2017/11/23/violenza-donne-nei-primi-10-mesi-dellanno-114-donne-uccise_20395177-01a7-4891-b9e3-3a1488079777.html

giovedì 23 novembre 2017

La giornata internazionale contro la violenza contro le donne per non rassegnarsi di Anna Costanza Baldry*

Un altro anno è passato. Un altro 25 novembre in arrivo per ricordare la giornata internazionale contro la violenza contro le donne. Ormai sono diversi anni che è consuetudine ricordare con molti eventi, iniziative, articoli, convegni, speciali tv che la violenza contro le donne esiste, quali sono i numeri, quali sono le conseguenze, possibili cause, possibili soluzioni.

Tutti gli anni numeri simili, sì numeri simili soprattutto quando riferiti alle donne uccise. Una o due in più o in meno rispetto all’anno precedente, o a quelli ancora precedenti ci dice una sola cosa: che la violenza contro le donne continua ad esistere e persistere. Come se gelosamente la si tenesse radicata nelle nostre società e culture per ricordarci il ‘peccato originale’ e quindi la ‘punizione’ perpetua del solo fatto di essere di genere femminile. La nostra è una cultura ancora fortemente resistente a una cultura basata sul rispetto delle differenze del genere uomo-donna e valorizzazione di queste differenze, in un’ottica della parità di genere. Tante battaglie, tante esternazioni di indignazioni e di riconoscimento della violenza contro le donne come una forma pandemica di sopraffazione e dominio. Quindi che fare di fronte a questa constatazione? Rassegnarci? Non penso sia una questione di rassegnazione. Ma di decidere se ritenere la violenza contro le donne un’emergenza stagionale, epocale, una moda, un’esagerazione, un problema di sicurezza pubblica o altro. Guardando ai fatti di cronaca, studiando, facendo ricerca, parlando con tante tantissime donne vittime ma anche con qualche perpetratore mi rendo conto che ciò che c’è di diverso adesso che può costituire una speranza per rendere il mondo un posto meno ostile per le donne, per molte, per alcune donne è la consapevolezza che tutti e tutte, e non solo gli addetti al settore, possono e dovrebbero essere responsabili del cambiamento. Una donna uccisa non è solo un lutto e un trauma per quella famiglia o per quegli orfani che hanno perso la loro cara in modo contro natura, insensato, immotivato; è una perdita e un costo per tutti quanti noi. E’ infatti indice di un fallimento, ovvero di una incapacità da parte di uno Stato, rappresentato dalle sue leggi, e da chi le mette in atto e da tutti i suoi cittadini e cittadine di tutelare le donne. Donne generatrici di vita, di idee, di saperi, di capacità, di creatività, di pace, di bellezza, di genialità, di passioni, di emozioni; questo sono le donne.

Se non viene naturale a uno Stato e a chi lo rappresenta e ai suoi cittadini garantire la tutela dei diritti delle donne, la loro protezione, e tutela, aiutiamolo a porre rimedio, fino a che c’è ancora tempo, fino a che si riconosca che la rivoluzione copernicana del XXX secolo sarà ottenere un mondo senza la violenza, e in particolare senza la violenza contro le donne, causa di povertà, di malattie, di costi sociali elevatissimi. L’essere umano è riuscito a creare invenzioni perfette, ha raggiunto livelli di tecnologia e conoscenza incredibili, sofisticatissimi, utilissimi. Ma una cosa così antica, profonda, nota, studiata come la violenza contro le donne, a questa piaga a questo problema creato e voluto da individui che sono facilitati da una cultura che o li supporta o non li disincentiva una soluzione non si è raggiunta.

Ecco. Poche cose e semplici, che possiamo applicare tutti i giorni. Altre cose stanno a chi ci governa, a chi decide dove investire, dove e come crescere come Stato, come sua cittadinanza.

E’ un dato di fatto che 8 donne su 10 uccise in Italia erano già state sottoposte dai loro aguzzini a continui soprusi, intimidazioni, aggressioni vere e proprie. E’ quindi un dato di fatto che se vogliamo in Italia eliminare il femminicidio e arrivare a quota zero per il 2030 (tenendoci larghissimi), bisogna correre, correre ai ripari e capire non solo se quello che si dice essere stato fatto è servito, ma cosa invece davvero bisogna affrontare.

Riforme delle leggi e delle politiche di contrasto alla violenza alle donne

Negli ultimi 20 anni molte azioni sono state fatte in Italia, con cambiamenti normativi importanti, che da una parte hanno inasprito le pene, dall’altra hanno aumentato il numero e il tipo di strumenti a disposizione degli inquirenti e degli investigatori. Hanno aumentato il numero di luoghi ove le donne che hanno subito violenza possono rivolgersi per essere aiutate; hanno cominciato a mettere a punto programmi di recupero per gli autori della violenza, a promuovere programmi di prevenzione fra i giovani e giovanissimi. Tutte risposte importanti, ma non sufficientemente incisive. Manca il coordinamento; a volte manca la volontà di coordinamento, anche politico oltre che normativo e istituzionale. Troppo spesso, come accade anche in medicina, malgrado i nuovi strumenti e la forte specializzazione, questi da soli non bastano. La segmentazione della trattazione di un problema fa perdere di vista il problema in tutto il suo insieme e quindi si perdono di vista i rischi nella loro complessità e interazione. Solo attraverso un linguaggio condiviso e comune, si raggiungono obiettivi nel reale interesse della vittima. Lentezze burocratiche o procedurali, distrazioni, mancanza di competenze adatte per la trattazione di questi casi sono tutti fattori che contribuiscono al perpetrarsi della violenza, alla sua reiterazione ed escalation.

Il Governo dovrebbe anche:

(a) Continuare a promuovere campagne di sensibilizzazione;

(b) Valutare scientificamente le procedure adottate sia per la prevenzione sia per la protezione;

(c) Raccogliere dati in maniera costante e continuativa, supportando la ricerca per individuare cosa funziona e su cosa devolvere le risorse, senza spinte ideologiche;

(d) promuovere una cultura del rispetto, della responsabilizzazione collettiva che investa tutta la cittadinanza per aiutare a togliere alla violenza contro le donne quella coltre pesante che è l’isolamento, il silenzio e la stigmatizzazione che la alimentano e ne permettono la sopravvivenza.


L’elenco potrebbe continuare a lungo e le buone prassi e idee non esaurirsi nello spazio di un articolo. Ma quello che quest’anno vogliamo evidenziare è che non è fondamentale la quantità delle azioni ma come ci poniamo di fronte al problema della violenza contro le donne e quanto seriamente riteniamo sia responsabilità compito di tutti fare la propria parte.

Chi vuole sapere di più di studi, iniziative ricerche può consultare www.sara-cesvis.org


*Ufficiale al Merito della Repubblica per il contrasto alla violenza sulle donne, componente Comitato Scientifico Fondazione Polis
https://www.ilmattino.it/polis/la_giornata_internazionale_contro_la_violenza_contro_le_donne_per_non_rassegnarsi-3378633.html

mercoledì 22 novembre 2017

drappi rossi alle finestre dal 23 al 30 novembre

Il 25 novembre è la giornata mondiale contro la violenza degli uomini sulle donne.
Poichè la maggior parte delle violenze si consuma in ambito domestico, stendere un panno rosso alla finestra o al balcone delle proprie abitazioni è un modo simbolico per rendere evidente il nostro rifiuto.

martedì 21 novembre 2017

Come si spiegano le tante denunce? I rapporti di potere tra uomini e donne non reggono più E le donne sono stufe di Alessandra Bocchetti

In questi giorni a leggere i giornali ci rendiamo conto che noi donne siamo finite in un campo semantico stretto e triste. A segnare i confini da una parte le legnate dei maltrattamenti dall’altra i palpeggiamenti dei maiali, nel mezzo ci sono le stuprate e le morte ammazzate.
Poi è in arrivo il nostro Halloween, l’Halloween delle donne, il terribile 25 novembre giornata mondiale contro la violenza. Tempo in cui le città si tappezzano di manifesti con facce di donne segnate, occhi neri, bocche cucite col fil di ferro, lividi. “Giornata mondiale”, mondiale nel senso che se a una donna venisse in mente di andare a cercarsi un angoletto tranquillo in questo mondo, abbandoni pure ogni speranza perché tutto il mondo è paese. Vedo con orrore che questa giornata si avvia a diventare una festa sinistra. Anche se ne riconosco le buone intenzioni, c’è da dire che gli esiti sono terribili: la condanna, per effetto perverso dell’eccessiva comunicazione, rischia di tramutarsi in celebrazione.

Chiedo perdono del mio tono ironico, chiedo perdono a tutte quelle donne che hanno subito violenza e umiliazione, che siano morte o vive. L’ironia aiuta a vivere e ci permette ancora di pensare.
Carissima Presidente Boldrini, lei ha deciso quest’anno per il 25 novembre di portare tante donne vittime di violenza in Parlamento. E’ un omaggio, capisco la sua buona intenzione, ma non sono le vittime che ci salveranno. La debolezza non ha mai creato forza, e noi donne di forza ne abbiamo veramente bisogno. Faccia in modo invece, per quanto le è possibile, se sarà leader del suo partito, come mi auguro, di fare entrare tante donne in Parlamento, ma non solo per un giorno e non solo per un’idea astratta di parità, ma per creare un senso comune femminile in modo che le donne si possano esprimere libere, metta in atto scelte politiche che migliorino la vita delle donne, migliorerà la vita di tutti e avremo un paese più decente. Viviamo un paradosso, e lei lo sa perché lo vive da vicino: la politica di questo paese si è privatizzata, non pensa più al bene comune, ormai è solo impegnata da risentimenti, da piccole lotte di posizione, da narcisismi, da capricci, da vendette, da tremende inimicizie. Per questo la gente vota sempre meno e ha cominciato a pensare che esistono due binari quello della politica e quello della vita quotidiana. Tragica illusione perché la politica ha in mano la vita di tutti noi. Un pensiero di donna può fare molto e lei è anche una donna molto coraggiosa. Grazie per la sua battaglia sul linguaggio. E’ una grande battaglia, di questa le sono veramente grata.
A lungo mi sono chiesta come mai alla notizia di una donna maltrattata o uccisa, provavo un dolore speciale, profondo . Cosa era? da dove veniva ? Di una cosa ero certa: un uomo, anche il migliore tra gli uomini non lo provava, rammarico sì, dispiacere sì, ma non il mio dolore. Poi un giorno ho capito. C’è sempre un giorno luminoso. I giornali raccontano di un uomo che non vuole essere abbandonato, che non vuole restare solo, che ama se pure nella follia. “Pazzo d’amore”, si dice. Invece no.
Ho capito il mio dolore speciale quando ho capito che la mano che colpisce una donna non vuole solo fare male, ma vuole fare giustizia, non la mia giustizia o quella piccola piccola di quell’uomo, ma la giustizia di un ordine. Quella mano che si alza contro una donna vuole ristabilire un ordine a cui però io non appartengo più. Nessuna donna al mondo appartiene più a quell’ordine anche se non lo sa, anche se lo subisce, anche se ne muore.
Di che ordine si tratta? Dello stesso ordine che fa i più e i meno, che fa i padroni e i servi, i ricchi e i poveri, i parlanti e i muti, i forti e i deboli, chi può e chi non può. Per lungo tempo si è pensato che fosse Dio a aver fatto questo ordine ma poi si è capito che invece è un ordine tutto umano, quindi modificabile, certo a caro prezzo, certo a lungo termine, ma modificabile. Dio non poteva essere così ingiusto.
Allo stesso ordine appartengono anche i palpeggiamenti, quando non sono graditi alle donne che ne sono oggetto, gli “adesso spogliati”, i toccami qua toccami là, i succhiami questo e poi quello, guarda questo quant’è bello. Ora si parla soprattutto di quello che fanno i potenti, i divi, i registi, i politici, che si approfittano del loro potere, del loro denaro, della loro influenza. Ma attenzione, in questa stessa disposizione troviamo anche i poveri diavoli, i perdenti, i nullatenenti perché una toccatina al culo di una ragazza rimette a posto l’ego di qualsiasi sfigato e fa sentire “qualcuno” chi lo fa, anche se è proprio “nessuno”. “Sono un uomo” si dice e torna il sereno.
Lo so, caro Giuliano Ferrara che tutto questo, non ti sembra un esercizio di potere. Sono mancanze di contenimento, dici tu, sono stimolazioni erotiche da quattro soldi. Che dire infatti dell’ uomo che si tira giù i pantaloni per mostrarti il suo cazzetto, lui non pensa di fare una cosa grave, perché pensa di avere tra le gambe il tronchetto della felicità. Anche quel signore che ha detto che lo stupro, certo in un primo momento può dare fastidio, ma poi… alla fine alle donne piace, anche lui pensa all’irresistibile tronchetto. Tanti uomini che dicono “erano consenzienti” lo pensano veramente perché non pensano sia possibile il contrario. Anche io, sai, ogni tanto sono tentata di pensarla come te, per quieto vivere, per mantenermi di buon umore. Ma poi no… mi salta agli occhi questo potere speciale che è condiviso stranamente da ricchi e poveri, da fortunati e sfigati e penso che valga la pena di pensarci su anche se si fa buio nel cuore.
Non perdono la paura, l’infelicità e il dolore che la violenza degli uomini fa provare alle donne, alle giovani ragazze quando si accorgono che della loro libertà sminuita.
Ma in questi tempi cosa sta succedendo? In molti me lo chiedono. Lo chiedono a una vecchia femminista. Che significano tutte queste denunce? E’ semplice da spiegare. Bisogna capire che il potere è sempre un patto tra chi lo esercita e chi ne è oggetto e che nessuno è innocente in questa relazione. Oggi il patto, che ha tenuto insieme uomini e donne per tanto tempo, non regge più. Le donne sono stufe anche delle loro colpe, delle loro infelicità silenziose e hanno cominciato a raccontare ciò che le ha ferite, umiliate, sorprese, impaurite. E’ per questo che uomini cominciano a venire cacciati dai consigli di amministrazione, ma anche dagli autobus all’ora di punta. E’ un segno. Ma di cosa? Di un “senso comune femminile” che comincia a fare ordine, a cambiare il modo di stare al mondo per tutti.
E’ un mondo più dignitoso, mi sorprende chi se ne lamenta. Legnate e palpeggiamenti, violenze e ricatti sessuali sono attentati alla dignità umana non solo delle donne, ma anche degli uomini. Perdita netta di dignità. Grande parola la dignità. A pensarci bene da sola basterebbe a fare un buon programma di governo. Se si pensasse alla dignità che a ciascun essere umano si deve in questa terra, che meravigliosi programmi si farebbero per il lavoro, per l’istruzione, per la salute! Sì, dignità è una parola che ci aiuta a fare bene.
E adesso, giovani donne, perché la rivoluzione continui: non tollerate che di fronte a voi una donna sia definita troia, non permettete che vi mettano le mani addosso senza il vostro permesso e fate l’amore solo quando vi va.
http://27esimaora.corriere.it/17_novembre_19/come-si-spiegano-tante-denunce-rapporti-potere-uomini-donne-non-reggono-piu-donne-sono-stufe-b3963eec-cd5b-11e7-b0a9-c23017f51523.shtml

lunedì 20 novembre 2017

INTERVISTA ALLA MAMMA-MANAGER (QUASI PENTITA) DI UNA BABY MODELLA di FLAVIA PICCINNI

Conosco Claudia D. da diversi anni, dal mio primo Pitti Bimbo (la manifestazione più importante dedicata alla moda bimbo del nostro Paese, che vale per l’Italia 2,7 miliardi di euro). L’ho intervistata ampiamente nei mesi scorsi, e qualche giorno fa mi ha scritto per raccontarmi del suo presente: da qualche mese sua figlia è fuori dal circuito moda poiché ha superato la fatidica soglia del metro e trenta d’altezza richiesto per prendere parte alle sfilate e alle pubblicità. Claudia D., ha 36 anni e vive in Brianza, fino a poche settimane fa faceva la “mamma manager e passavo tutto il tempo da una parte all’altra di Milano: casting, prove, pubblicità e shooting fotografici. Poi, con cinque centimetri in più, tutto è andato: ormai siamo troppo grandi per questo mondo”.
E adesso?
Sono tornata a fare la casalinga.
Ti manca quel tran tran?
Sì. L’ho assaporato per parecchio tempo, e adesso il tempo è morto.
Perché morto?
Perché non c’è più adrenalina. Quando sei sul set, ti senti protagonista. Tua figlia è bella, è richiesta e tutti ti fanno i complimenti, tutti ti vogliono: ti chiamano agenzie di moda, di pubblicità e poi c’è Pitti dove i bambini sfilano in passerella, i fotografi stanno in fondo e tutti sono su di giri. Il mondo della moda vissuto da protagonista diventa una droga.
Anche se la protagonista non sei tu, ma tua figlia?
Scusami ma che cambia? Alla fine chiamavano me.
Sei stata nel mondo della moda bimbo per parecchi anni.
Per questo ti dico che mi mancherà per sempre. Ho anche pensato di fare un altro figlio, l’ho detto a mio marito e lui mi ha riso in faccia.
Qual è la cosa che ti piaceva di più?
Quando dopo un provino mi chiamavano per dire che avevano scelto noi.
La cosa che non sopportavi?
Le altre mamme. Alcune super arroganti e prepotenti. Altre aggressive come se in gioco ci fosse il futuro del mondo, o quantomeno dei propri figli. In questi anni ne ho visti di tutti i colori. Da mamme che tenevano le proprie figlie di cinque, sei anni a dieta ad altre che le portavano a fare la pulizia del viso a sette anni. Per non parlare di manicure, riflessanti ai capelli, sedute di palestra e massaggi.
E tu?
Io non ho mai fatto niente di tutto questo. Al massimo uno shampoo alla camomilla.
Domani è la giornata mondiale dei diritti dei bambini e delle bambine. Secondo te i bambini italiani che lavorano nel mondo della moda possono essere definiti lavoratori?
Ci pagano troppo poco perché sia lavoro. Trenta euro per un servizio fotografico, cento per una giornata sacrificata per una pubblicità. Se lo fai, lo fai perché ti piace. E perché ti senti bene, diventi protagonista.
Secondo te i bambini sui set subiscono delle violenze?
Niente di equiparabile a quello che accade ai minori sfruttati nei Paesi del terzo mondo, certo. Anche se siamo pagati zero, è sempre un lavoro: ci sono orari da rispettare, regole, obblighi.
Tu nei tuoi anni di lavoro, ti sei mai sentita obbligata a fare un lavoro anche se non volevi?
Più di una volta.
E perché non ti sei tirata indietro?
Perché se sei fuori una volta, sei fuori sempre. Nessuno te lo dice, ma è così.
Pare una sorta di ricatto permanente.
Si. Ed è molto silenzioso.
Puoi farmi un esempio di quanto ti è accaduto?
Una volta mia figlia aveva la febbre alta, ma doveva fare delle foto. Chiamai il fotografo e lui mi disse di non preoccuparmi: le avrebbero messo più trucco.
Il servizio fotografico come andò?
Per lei fu un incubo. E anche per me.
Non pensasti che forse era il caso di non proseguire?
Per un attimo sì. Poi vidi le foto, e cambiai idea. Le ho ancora in salotto. Le guardo e ogni volta penso che sono bellissime.
http://www.glistatigenerali.com/occupazione/intervista-alla-mamma-manager-quasi-pentita-di-una-baby-modella/

domenica 19 novembre 2017

La tempesta che travolge il patriarcato Dietro alle accuse di molestie ci sono decenni di soprusi vissuti nel silenzio di Francesca SWforza

Può accadere che i quadri si stacchino dal muro in cui erano rimasti appesi per decenni. E quando accade, proprio in ragione della loro passata e rassicurante immobilità, si tende a pensare che sia accaduto «all’improvviso», «senza una vera ragione», o si tende a individuare il responsabile in «quell’inaspettato colpo di vento». 

In realtà quel quadro era instabile da anni, anche se da fuori non sembrava: poi certo, se non ci fosse stato quel colpo di vento il quadro avrebbe resistito un altro po’, ma prima o poi, non c’è dubbio, sarebbe comunque caduto. 

Non è molto diverso quanto sta accadendo sul fronte delle accuse di molestie sessuali, che giorno dopo giorno investono nuovi nomi dello sport della politica dello spettacolo, in una sorta di caotico e sempre più indecifrabile poltergeist. Dietro ci sono decenni di soprusi vissuti nel silenzio, di donne colpevolizzate per essersi vestite in un modo anziché in un altro, per aver esagerato con alcol o droghe, per aver sbagliato orario, e di infinite variazioni sul tema «stai attenta a non metterti nei guai», «l’hai provocato», «occhi bassi» e via dicendo.

Adesso che il patriarcato sta scricchiolando - perché le donne sono più emancipate, ma anche perché le loro ricette si rivelano più funzionali in un numero sempre maggiore di ambiti - ecco che quel sovraccarico di violenze accumulate diventa insostenibile, e si rovescia in maniera inevitabilmente scomposta. Non aspettiamoci educazione, in questa fase, né rispetto o attenzione per conclamati meriti e virtù. Sono in molti, in queste ore, a temere di veder saltare in aria carriere e annate di rispettabili apparenze, così come sono state molte, in passato, le ragazze e le donne costrette a cedere a ricatti (chi ha avuto la forza di dire no è perché se lo poteva permettere, anche soltanto grazie al fatto di essere stata più amata e per questo aver raggiunto una maggiore considerazione di sé). Non è escluso che si registreranno ingiustizie, e forse più d’uno sarà rovinato senza colpa, trovandosi così a condividere lo stesso destino di quelle vittime di violenza che pure, di colpa, non ne avevano alcuna. Quando la furia giacobina sarà passata - presto, ci auguriamo, e senza troppi danni, ma è bene non farsi illusioni al proposito - ci attenderà il compito di rimettere a posto la sconquassata casa della relazione uomo-donna. Si tratterà di studiare codici seduttivi diversi rispetto al passato, di immaginare narrative più egualitarie e non per questo meno amorose. Si potrebbe farlo insieme, uomini e donne.
http://www.lastampa.it/2017/11/12/cultura/opinioni/editoriali/la-tempesta-che-travolge-il-patriarcato-nXNPCLZ41oH3rnL7KyqvqO/pagina.html

sabato 18 novembre 2017

Escono le molestie, si arrocca la fallocrazia di Giulio Cavalli

Ci deve essere da qualche parte una Gran Maestro Venerabile della setta degli uomini impauriti che impartisce ogni mattina la linea difensiva al suo esercito di opinionisti, nascosto in qualche villa zeppa di ginecei e preoccupatissimo che il caso delle molestie sessuali di cui si parla ogni giorno (perché no, non è Fausto Brizzi il tema quanto piuttosto il fatto che non ci sia una donna che non racconti di avere subito molestie nella sua vita, nemmeno una) possa spostare gli equilibri di una fallocrazia preoccupata di perdere il diritto al libero sfogo delle proprie pulsioni.

Così ogni giorno, da qualche settimana, si ripete il rito di una difesa d’ufficio che ha tutta l’aria di essere un rincoglionimento concertato sotto le mentite spoglie di un movimento d’opinione: si va da Vittorio Sgarbi che ieri a Matrix dichiara sornione che «in tutto il mondo del cinema c’è un tacito accordo in cui il regista è padrone di un attore» fingendo di non sapere che in questi giorni si starebbe parlando invece proprio di quelle che non sono d’accordo; si passa per Sallusti che teme «una nuova tangentopoli» discettando sulle cinquanta sfumature di molestie perché in fondo tutto si confonda e non ne paia credibile nemmeno una; si ascoltano donne rivendicare felici tutte le pacche prese sul culo dimenticando che è “giocoso” se si è d’accordo in due; si leggono fior fiore di editorialoni preoccupati per la presunzione di colpevolezza a cui non scappa nemmeno un rigo per sbaglio sulle presunte vittime; ci si sorbisce patetiche difese d’ufficio dello spessore di un “mi salutava sempre”; ci si impegna sugli esami ginecologici delle vittime per alzare un po’ lo share fino al più vergognoso “così fan tutti” come giustificazione di tutti i mali.

Eppure insistere sulla cronaca delle molestie è, per i fallocrati, il metodo migliore per non essere costretti a parlare dell’abuso di potere di chi sta in una posizione di forza e decide di esercitarla con i propri mezzi; che poi il mezzo preferito di questi gli ciondoli in mezzo alle gambe è anche questa un storia antica che pianta la sua origine nel tempo dei tempi e che forse sarebbe il caso di sradicare.

Così ancora una volta lo scopo è quello di simulare un dibattito in cui non si dibatta di nulla affinché non intacchi le vecchie abitudini: i fallocrati sono terrorizzati di essere smascherati e allora diventano terroristi. Il messaggio è chiaro: se qualche donna ha intenzione di provare a parlarne sappia che sarà costretta a essere misurata in tutte le sue forme e palpata in tutte le sue debolezze. Com’è tipico dei fallocrati, appunto.
https://left.it/2017/11/16/escono-le-molestie-si-arrocca-la-fallocrazia/

venerdì 17 novembre 2017

Oggi c'è il funerale delle 26 ragazze arrivate morte a Salerno, ventunesimodonna chiede ad amiche e amici una giornata di silenzio, un pensiero, una preghiera a chi crede
Piangiamo insieme la morte brutale di queste giovani sorelle

giovedì 16 novembre 2017

Donne che parlano di molestie e il problema del garantismo

Nelle ultime settimane molte donne in tutto il mondo hanno preso parola pubblica contro le molestie e l’hanno fatto tutte insieme: donne considerate perbene e anche donne considerate permale. E mentre prima tacevano ora parlano tutte, di uomini comuni e dei cosiddetti uomini potenti. E accumulano storie e testimonianze che si somigliano molto tra loro. Il fatto è politico e si chiama fine del patriarcato, cioè di quel sistema basato sul silenzio-assenso delle donne al sistema maschile. Fine del patriarcato non significa però che sia finita la pretesa che quello stesso sistema continui a funzionare e infatti è in movimento un esercito ben organizzato che cerca di tenere le donne al loro posto o cerca di riportarcele.
Questa contro-azione si compone di argomentazioni molto grossolane e sessiste. E poi ce ne sono altre più raffinate e insidiose, che provengono da chi in modo paternalistico sta cercando di dare consigli alle donne su come darsi una regolata e su come gestire questo polverone per non arrivare a un «maccartismo da cerniera lampo».
Negli ultimi giorni mi è stata fatta una domanda certamente più interessante di altre, di cui vale la pena parlare, dando per scontato che non si tratti di un raffinato trucco per spostare la questione. La domanda ha a che fare con il garantismo nei confronti degli uomini accusati di molestie: diamo per scontato che le persone accusate siano colpevoli? Luca Sofri se ne è occupato qui, non tenendo però conto di alcune cose fondamentali.
Non è in corso alcuna caccia alle streghe, come qualcuno ha scritto facendo intendere che il posto delle perseguitate è stato preso da alcuni uomini accusati di stupri e di molestie (uomini bianchi e potenti, è bene ricordarlo). Non penso che le donne non possano mentire e non penso che tutte le buone stiano da una parte e tutti i cattivi dall’altra. Se c’è bisogno di una nuova rassicurazione in questo senso, eccola: che non tutti gli uomini siano dei potenziali stupratori e che tutte le persone accusate non siano automaticamente colpevoli è verissimo e ovvio, ci mancherebbe.
Se stiamo parlando di “garantismo giudiziario” c’è un’altra cosa fondamentale di cui tenere conto e che pensavo fosse scontata: una persona accusata pubblicamente da un’altra ha a sua disposizione un importante e indiscutibile strumento di garanzia. Può cioè querelare chi lo ha offeso o denigrato se ritiene che sia stato detto il falso. E se perde tutto in seguito a queste accuse? Di nuovo: chi si sente danneggiato ingiustamente da queste accuse può denunciare chi lo accusa. Deve farlo: è infatti nell’interesse di tutti e di tutte (di chi sporge denunce vere, innanzitutto) che le denunce false vengano punite.
Ma il garantismo “giudiziario” (una volta stabilito che c’è lo strumento della querela a cui può fare ricorso l’accusato) c’entra poco con questa storia. Oltre al garantismo vero e proprio c’è infatti un garantismo che potremmo chiamare delle coscienze.
Anche chi accusa avrebbe avuto a suo tempo uno strumento di garanzia, quello di sporgere denuncia. Strumento che prevede in Italia dei tempi molto precisi (entro sei mesi uno stupro e entro tre mesi una molestia: pochi, ma questa è un’altra storia).
Una volta stabilito che la persona offesa ha sempre a sua disposizione uno strumento di garanzia, dovremmo cercare di capire perché chi sta dall’altra parte e dice di aver subito delle molestie ha scelto di non usare il proprio. (Non parlo per suggestioni: se ci fosse bisogno di conferme l’ISTAT dice da decenni che la percentuale delle denunce è molto bassa, mentre è altissima la percentuale delle donne che afferma di aver subito violenza). Le molte donne che parlano, anche sul punto della non-denuncia raccontano tutte la stessa versione della storia.
Il condizionamento verso una mancata denuncia e il mancato esercizio di una procedura coerente con lo stato di diritto è altissimo quando si parla di abusi e di molestie: ci sono la paura, lo stigma, la vergogna, il peso delle conseguenze, la frequente asimmetria delle posizioni di potere e altro ancora. E poi c’è il fatto non secondario che le molestie sono qualcosa di difficile da dimostrare di per sé, che spesso le donne vengono scoraggiate a farlo e che molte sentenze non tengono conto del documento più avanzato e autorevole che sia mai stato prodotto in materia: la Convenzione di Istanbul che è stata ratificata dall’Italia, che è in vigore dal 1 agosto 2014 ma di cui in Italia manca il sostanziale recepimento. La Convenzione stabilisce, solo per fare un esempio, che gli antecedenti sessuali e la condotta della presunta vittima siano ammissibili unicamente quando sono pertinenti e necessari: di questo, come affermano molte giuriste e giuristi, spesso nelle aule di tribunale non viene tenuto conto e le “sentenze dei jeans” non sono solo un lontano ricordo.
Quello che sta accadendo in queste settimane (donne che parlano su giornali e tv) non rientra nelle consuetudini: è vero, ma perché non rientra nelle consuetudini? E dunque torniamo pure al problema iniziale, al garantismo, riformulando però la questione in modo che quel principio non sia solo una bella scatola vuota: il garantismo vale in egual misura anche per le persone che a un certo punto decidono di parlare delle molestie che hanno subito? Possiamo affermare serenamente che a una donna che parla di abusi è garantita quella che potremmo chiamare “presunzione di credibilità”? O meglio: c’è la reale garanzia di una dialettica non sbilanciata sulla questione delle molestie? E non è forse qui che si mostra, invece, l’enorme deroga al garantismo di cui si sta parlando? Nessuna chiede di mettere in galera gli accusati sulla base delle cose che vengono dette sui giornali e non nei tribunali: si sta chiedendo che il garantismo valga per tutte e tutti allo stesso modo. Ponendo queste domande non sto facendo deroghe a un principio fondamentale, come ormai è chiaro, sto dicendo che il circolo del garantismo, nel caso delle molestie e degli abusi, non è virtuoso e mi chiedo se la priorità non sia quella di lavorare affinché lo diventi.
Il punto fondamentale della storia da cui partire è dunque un altro: che tutte le donne sanno di cosa stiamo parlando quando parliamo di molestie e di abusi e che tutte sanno perché è così difficile denunciare. Personalmente i casi singoli mi interessano davvero pochissimo, così come interessano poco ad alcune delle donne che hanno parlato nelle ultime settimane (partendo però necessariamente dalle loro esperienze). Mi interessa moltissimo, invece, che si apra uno spazio in cui le donne possano parlare senza venire condannate immediatamente o giudicate a prescindere. Mi interessa infine capire (e torno al punto) perché molte in questa storia (sostenute dai dati) affermino di ritrovarsi in un sistema in cui è difficilissimo, di fatto, la possibilità di esercitare il loro strumento di garanzia. La possibilità è la condizione della garanzia e anche di uno stato di diritto. Ed è da questa parte che c’è del lavoro da fare.
http://www.ilpost.it/giuliasiviero/2017/11/14/le-donne-parlano-molestie-problema-del-garantismo/

mercoledì 15 novembre 2017

Ricatti hard e violenze sul posto di lavoro per nove donne su cento Secondo l’Istat avance e molestie già al primo colloquio. La Cgil: «Fenomeno considerato normale, zero denunce» di Paolo Baroni

«Ma mica le molestie ci sono solo nel mondo del cinema. Adesso va di moda questa narrazione, ma la questione non si ferma certo solo ad attrici e registi», avvisa Loredana Taddei responsabile delle politiche di genere della Cgil. Basta infatti alzare il velo sul mondo del lavoro per scoprire una realtà, purtroppo quotidiana, che presenta cifre impressionanti e che è fatta di avance, ammiccamenti, battute, ricatti e violenze, che nei casi estremi posso arrivare finanche allo stupro. 
Gli ultimi dati li ha forniti a fine settembre in Parlamento il presidente dell’Istat Giorgio Alleva spiegando che 9 donne su 100 nel corso della loro vita lavorativa sono state oggetto di molestie o di ricatti a sfondo sessuale. Parliamo di qualcosa come 1 milione e 403 mila casi. Dalla carezza non gradita alla pacca sul sedere, dal bacio rubato sino alla richiesta esplicita di prestazioni sessuali per avere un lavoro, per mantenere il posto o magari per fare carriera. Poi ci sono gli stupri, consumati o anche solo tentati (84% dei casi): 76 mila in tutto sempre considerando l’intero arco lavorativo delle donne. 
Chi sono le vittime 
Molestie e ricatti sono sostanzialmente trasversali, ma riguardano innanzitutto le donne di età compresa fra i 25 ed i 44 anni, diplomate o laureate, residenti al Nord, nei grandi centri, occupate nel settore dei servizi (trasporti e comunicazioni) e nel settore pubblico.
«I ricatti sessuali si verificano nei momenti in cui le donne si trovano più in difficoltà e nascono da una situazione asimmetrica: la donna ricerca lavoro dopo averlo perso, lo cerca al Sud dove è difficile trovarlo, si mette in proprio, vuole fare carriera e la sua carriera dipende dal giudizio o dall’azione di qualche superiore», segnalava tempo addietro Linda Laura Sabbadini che dai tempi dell’Istat segue questi temi.
«In molti casi non c’è nemmeno bisogno di esplicitare il ricatto, la donna lo percepisce subito, lo capisce dagli atteggiamenti dei superiori - spiega Taddei -. Quello delle molestie purtroppo è un fenomeno che c’è da sempre e che per questo è considerato normale, tant’è che nella maggioranza dei casi non lo si denuncia nemmeno, perché ci si vergogna o perché si teme di venir ridicolizzati dai colleghi». E in effetti, segnalava Alleva, «solo una donna su 5 racconta la propria esperienza».
E, soprattutto, «quasi nessuna ha denunciato il fatto alle forze dell’ordine», lo fa appena lo 0,5%. Per il resto gli esiti finali sono altrettanto sorprendenti: l’11% viene infatti licenziata, il 34% cambia volontariamente lavoro o rinuncia a far carriera, un altro 1,3% è stata trasferita di ufficio.
Poi c’è un 4,7% che continua a lavorare ed un 1,4% che cede alle richieste.

Norme inadeguate? 
«Certamente, soprattutto in tempi di crisi, pesa molto la sudditanza psicologica della donna, che nel campo del lavoro ha sempre poche opportunità» segnala la presidente della Commissione d’inchiesta parlamentare sul femminicidio Francesca Puglisi (Pd). In Italia occorre rafforzare l’apparato legislativo, come segnala anche l’Ocse in un suo recente rapporto? «Con la legge del 2013 sulla violenza di genere abbiamo fatto molti passi avanti - risponde - ma è vero che sul fronte delle molestie sui posti di lavoro siamo meno attrezzati. Per questo abbiano deciso di ampliare il nostro raggio d’azione e già la prossima settimana ascolteremo Cgil, Cisl e Uil». «La questione delle norme merita una analisi approfondita - risponde a sua volta la Taddei -. Però, in quanto a regole, voglio ricordare che in Italia solo nel 2016 siamo riusciti a recepire l’accordo quadro europeo sulle molestie. Confindustria ha fatto resistenza e ci abbiamo messo 9 anni».

martedì 14 novembre 2017

Palpeggiare una donna sul bus è violenza sessuale. La condanna della Cassazione

Condanna in via definitiva un uomo che aveva costretto una ragazza a subire "atti sessuali" mentre viaggiava su un autobus di linea a Roma

È una dura condanna, per il reato di violenza sessuale, quella a cui va incontro chi molesta una donna sull'autobus con sfregamenti e palpeggiamenti. Lo si evince da una sentenza depositata oggi dalla terza sezione penale della Cassazione, che ha condannato in via definitiva un uomo che, assieme a un complice, aveva costretto una ragazza a subire "atti sessuali" mentre viaggiava su un autobus di linea a Roma, con "strusciamenti del bacino contro il fondoschiena" della donna e "palpeggiamenti".

La Suprema Corte, condividendo le conclusioni dei giudici d'appello della Capitale, ha confermato la condanna per violenza sessuale. Solo uno dei due imputati ha presentato ricorso, lamentando, oltre a un difetto di notifica, la "mancanza o manifesta illogicita' della motivazione". La Cassazione lo ha dichiarato inammissibile e ha condannato l'uomo anche al pagamento delle spese processuali e a versare 2mila euro alla Cassa delle ammende.
http://www.huffingtonpost.it/2017/11/13/palpeggiare-una-donna-sul-bus-e-violenza-sessuale-la-condanna-della-cassazione_a_23275373/

lunedì 13 novembre 2017

Le testimonianze cambiano l’aria dal blog di Massimo Lizzi

Le testimonianze delle donne abusate cambiano l’aria nella relazione tra i sessi. Uomini riluttanti, abituati all’aria viziata, avvertono di non esagerare e non generalizzare: vogliono distinguere i maiali dai gentili, le violenze dalle avances; ricordano l’opportunismo delle molestate (perché hanno fatto carriera o perché non l’hanno fatta) e la presunzione d’innocenza dei molestatori. La richiesta sottotesto è di tacere o parlare solo in sedi riservate e competenti, con l’effetto di restaurare il silenzio necessario agli abusanti.

Il rischio remoto che un uomo possa essere diffamato è un male minore rispetto al rischio probabile che le donne continuino ad essere maltrattate. Il crollo di un sistema non è indolore. Tuttavia, i dolori possono essere contenuti se gli uomini si assumono le proprie responsabilità, senza difendersi e contrattaccare. I gentili possono distinguersi da sé, smettere ogni complicità con i maiali, invece di giudicare le complicità delle vittime. Poco importa differenziare avances e molestie, quando le avances sono indesiderate, inflitte da uomini che esercitano potere o si prendono confidenze mai concesse. Offese fisiche o simboliche sono parte della stessa violenza sessista. Più importante saper riconoscere un movimento di testimonianze, che scoperchia un sistema di abusi, e non fingere di confonderlo con la caccia alle streghe o altre tragedie dell’umanità.

Il maccartismo fu l’anticomunismo negli Stati Uniti, non nell’Urss. I maschi maltrattanti sono più prossimi al partito dominante che alla minoranza di opposizione. Il dominio si fonda anche sulla collaborazione o sul silenzio assenso degli uomini per bene o soltanto timidi, i quali condividono o rispettano la gerarchia e la cultura dei dominanti. Nessuna ci vuole uccidere, torturare, incarcerare, gettare in rovina. Noi, la nostra sessualità predatoria, stiamo ricevendo una grande critica collettiva. Possiamo aprirci ed ascoltarla. Quando spalanchiamo le finestre entrano freddo o caldo, insetti, rumore, sguardi indiscreti, qualche strano odore, la corrente: attenzione, attenzione! Ma gli ambienti chiusi per troppo tempo sono i peggio inquinati ed infettati. L’aria va cambiata; è una necessità igienica, anche a costo di rompere un vetro.

Tristi riferimenti:
[^] Massimo Fini 07.11.2017 – Dalle molestie alla caccia alle streghe: difendiamoci
[^] Beppe Severgnini 05.11.2017 – Un confine esiste tra gentilezza e molestia
[^] Michele Serra 03.11.2017 – L’amaca
[^] Paolo Ercolani 02.11.2017 – L’assurda guerra dei sessi
https://massimolizzi.blog/2017/11/08/le-testimonianze-cambiano-laria/

venerdì 10 novembre 2017

Giornata internazionale contro la violenza degli uomini sulle donne 2017 con ventunesimodonna


Roma, cos’è e cosa rappresenta la Casa delle donne a rischio sfratto di Nadia Somma

La Casa Internazionale delle Donne a Roma ha ricevuto un’ingiunzione di pagamento per circa 800mila euro di mensilità di affitto non pagate, una cifra elevatissima che dovrebbe essere versata entro 30 giorni. Si presume che in caso contrario l’amministrazione comunale proceda allo sgombero dei locali di via della Lungara anche se Rosalba Castiglione, assessora al Patrimonio e alle Politiche abitative di Roma Capitale ha dichiarato che “non c’è alcuno sfratto in corso. Solo la richiesta del pagamento della morosità accumulata”.

La struttura che faceva parte del complesso del Buon Pastore entrò a far parte della storia del femminismo quando da rudere in stato di abbandono venne occupato dalla fine degli anni 80 dal movimento delle donne per diventare abitato, attivo e vitale, sede di iniziative culturali e politiche. Venne ristrutturato e poi gestito come spazio per le donne sulla base di lunghe trattative con le Giunte che via via si sono succedute negli anni.

Quando nel 1992 venne stipulata la convenzione, la Casa si assunse l’onere delle spese di manutenzione ordinaria, straordinaria e del pagamento delle utenze ma negli accordi venne incluso anche un debito pregresso di 150mila euro che comprendeva gli anni dell’occupazione. Nel 2013 la Giunta Marino si occupò del problema e stava arrivando ad un accordo per il saldo del debito in virtù del valore economico dei servizi offerti gratuitamente, alla città e alle donne, dalle 40 associazioni che fanno parte del Consorzio che oggi gestisce la Casa Internazionale. Si calcolò in 700mila euro l’anno, il valore delle consulenze psicologiche e legali per donne vittime di violenza, delle prestazioni svolte nei consultori medici e ginecologici, dei progetti di orientamento al lavoro e delle iniziative culturali oltre alla cura di Archivia una biblioteca ragionata del femminismo italiano e internazionale messo a disposizione di studenti e studentesse per studi e tesi di laurea. Le attività svolte in un solo anno a favore delle cittadine e dei cittadini romani basterebbe ad estinguere quasi tutto il debito.

La via per regolarizzare la situazione di morosità intrapresa dalla Giunta Marino era stata condivisa anche dal Movimento 5 Stelle. Quando Virginia Raggi arrivò in Campidoglio, la Casa Internazionale riprese il dialogo perché venisse presa in considerazione la strada indicata della Giunta Marino. La sindaca era andata in visita alla Casa e c’erano stati segnali di apertura nell’intento di risolvere la situazione evitando uno scontro sul saldo del debito. Poi inaspettatamente c’è stata la svolta con una raccomandata dai toni perentori. Perché?

Francesca Romana Koch, presidente del Consorzio che gestisce la Casa Internazionale, si augura che “ci sia una via d’uscita e che le donne vengano ancora accolte e sostenute venne condivisa e si riapra un dialogo per portare al superamento del problema”. Il 13 novembre si svolgerà una assemblea alla Casa Internazionale per decidere cosa fare per affrontare il rischio di uno sfratto che pende sulla testa delle attiviste e delle donne che sono accolte ogni giorno nei locali di via della Lungara.

E’ difficile pensare che la Casa Internazionale “pesi sulle spalle dei cittadini romani” quando è  un luogo attivo e vitale con un valore storico, politico ed economico che non deve chiudere i propri battenti ma perché questo non avvenga deve entrare in gioco la volontà politica di lasciare attiva una  risorsa importante per le donne romane e non solo.
www.ilfattoquotidiano.it/2017/11/09/roma-cose-e-cosa-rappresenta-la-casa-delle-donne-a-rischio-sfratto/3968137/

giovedì 9 novembre 2017

Il “maccartismo sessuale” e la caccia alle streghe di Fabiana

Aggiungiamo un altro tassello nel panorama dell’imbarazzante giornalismo italiano.
Questa volta ci pensano Severgnini e Serra che dalle pagine di Repubblica e il Corriere,  con nuovi neologismi (“maccartismo sessuale” e “maccartismo da cerniera lampo”),  si chiedono se non si stia esagerando un po’ con questa storia di denunciare le molestie sessuali.
Come scriveva qualche giorno fa Flavia Perina su Linkiesta, mentre gran parte dei media americani si interrogano circa il sessismo che ha travolto Asia Argento (e negli ultimi giorni anche Miriana Trevisan —quest’ultima in maniera ancora più grave) in Italia, i giornalisti italiani si lanciano in un cieco garantismo —dove guarda caso chi mente è sempre la vittima— verso il maschio, vittima di una vera e propria caccia alle streghe.
Serra ci tiene a precisare che c’è una bella differenza tra il predatore ricco e potente che esercita il suo potere ricattando sessualmente le sue vittime e la proposta sporcacciona.
Non ci è dato sapere cosa Serra intenda con tale definizione.
Sappiamo solo che derubricare le molestie diverse da quelle del caso Weinstein in proposte sporcaccione —quasi stessimo discutendo su un b-movie erotico anni ’70— è fuorviante per una serie di motivi: innanzitutto perché vorremmo che fosse la vittima e non una manica di giornalisti a definire se ciò che le è accaduto sia una molestia, un’avances, uno stupro o un approccio.
Gran parte delle volte il molestatore non è un ubriacone che rimetti facilmente al suo posto.
Ci sono arrivate innumerevoli storie nella campagna #quellavoltache e possiamo certamente dichiarare che il più delle volte dietro le molestie —che qualche temerario/a definisce corteggiamento— non ci sia affatto un interesse dell’uomo a conquistare quella donna, ma di mezzo ci sia un vero e proprio modo di esercitare il proprio potere
Non a caso gran parte delle molestie sessuali avvengono proprio in situazioni dove c’è particolarmente squilibrio tra le parti, ovvero quando l’uomo —ancora più che in altre situazioni— può esercitare potere su quella donna e quindi il datore di lavoro che ricatta la sua dipendente, il professore universitario che in cambio di prestazioni sessuali  offre un buon voto, l’uomo molto più grande che approfitta della vulnerabilità di una ragazzina o le molestie per strada.
Sull’Huffington Post si rimarca la solita tiritèra secondo cui questa ondata di denunce non fa altro che sminuire le vere vittime. Ma chi lo decide chi è davvero vittima o meno? Giornalisti e commentatori che il giorno prima si definiscono grandi esperti di economia e politica estera e quello dopo esperti in questioni di genere?
Vorremmo tranquillizzare, quindi, tutti i Severgnini e i Serra italiani, ma anche tutte quelle donne che hanno scritto editoriali e articoli molto simili –se non peggiori– a quelli dei due:  non esiste alcuna persecuzione verso il maschio, nessun uomo è sotto attacco perché uomo
Non ci saranno orde di uomini trascinati in tribunale per un occhiolino o un ciao
Come dichiaravo poc’anzi, il caso di Miriana Trevisan si sta dimostrando ben più grave di quello di Asia Argento. Il tribunale dei social ha già deciso che quella che mente spudoratamente sia lei. Ancora di più perché la carriera di Trevisan sia stata meno rosea di quella di Argento; sicché la prima, più della seconda, sta cavalcando questa ondata per qualche ospitata o semplicemente per far parlare di sé.
Doppiamente si verifica ciò perché dall’altra parte c’è un uomo molto amato e rispettato nel suo ambiente.
Come scrive Claudia Torrisi su Vice:
L’accusa di Trevisan è per adesso isolata, presentata da una donna che è stata valletta e velina (e si sa che la quantità di carne che mostri ti qualifica, eh?), e rivolta verso un personaggio del cinema italiano che gode di grande rispetto sia nell’ambiente che tra la gente comune. Il meccanismo che si è scatenato è stato quello di un ipergarantismo a senso unico, nei confronti dell’accusato. A differenza che con Asia Argento, a essere messo in discussione non è stato il comportamento della showgirl, ma la veridicità stessa del fatto: Trevisan se l’è sicuramente inventato per cavalcare il caso Weinstein e rilanciare la carriera di soubrette accusando un pezzo grosso e rispettabile che, suo malgrado, è stato tirato in mezzo.
Tralasciando la replica poco elegante di Tornatore, è chiaro che la verità su quanto è successo possono conoscerla solo coloro che erano presenti vent’anni fa. Su questo, però, vorrei fare due precisazioni. La prima è che il punto non è credere o meno a Miriana Trevisan, quanto di non screditarne a prescindere la versione solo perché lui “sembra tanto una brava persona”: per quanto sia saldo nel nostro immaginario, nella realtà non esiste né un prototipo di vittima, né uno di molestatore.
Miriana Trevisan, quindi, si è inventata tutto e ancora più male fanno le parole di alcune donne, sue colleghe.
Prendiamo ad esempio quelle di Laura Chiatti: Tornatore è un vero signore e un serio professionista. Con me è stato ineccepibile, chiedendomi di partecipare ad uno dei suoi film migliori, mi ha fatto un grande onore […[…] Non vorrei che esplodesse la moda di denunciare dei professionisti seri solo per giustificare il fallimento della propria carriera”.
o di Claudia Gerini: “Ho solo ricordi piacevolissimi dell’esperienza con Tornatore che si è comportato come un galantuomo d’altri tempi. […] È giusto, ci mancherebbe, che le violenze sessuali vengano denunciate e punitie. Ma non lo è cavalcare l’aria del tempo solo per far parlare di sé”
e Margherita Buy:  “Giuseppe un molestatore? Ma se è uno dei più grandi gentiluomini con cui abbia mai lavorato. È impensabile che abbia assalito qualcuna”.
Tornatore è un signore, Miriana Trevisan una bugiarda.
Lungi dal creare tribunali in sedi sbagliate –ad esempio i social– ben vengano garantismo e il beneficio del dubbio, ma che ci siano per entrambe le parti. Invece, puntualmente l’uomo –ovviamente che non sia l’extracomunitario e il rom— è quello accusato ingiustamente e la donna una bugiarda o una che prima la dà e poi frigna.
Ci preme quindi sottolineare per l’ennesima volta che bisognerebbe darci un taglio con queste tesi lambrosiane: chi violenta o molesta una donna, chi usa violenza su una donna, chi abusa del proprio potere per ottenere favori sessuali non lo ha scritto sulla fronte.
Migliaia di volte abbiamo incontrato casi in cui uomini che avevano ammzzato la propria moglie erano definiti da tutti: bravissime persone, ottimi padri  e integerrimi lavoratori .
Non esistono i mostri, chi abusa di una donna non ha tratti particolari né comportamenti (all’esterno) riconoscibili.
Detto ciò, ci piacerebbe che tutta questa gente, dai giornalisti, fino alle soubrette e alle attrici e ai vari commentatori che hanno giudicato senza ombra di dubbio e senza uno straccio di prova, muovendo parole tanto dure e giudicanti verso chi ha denunciato delle molestie, per il 25 novembre evitasse di fare sfilate in spot istituzionali, selfie con le scarpette rosse e foto profilo modificata con la scrittina “no alla violenza sulle donne”: servono ben poco alla causa se poi il resto dell’anno lo passate a colpevolizzare le vittime.
Per il 25 novembre ci sarebbe un buon esercizio da fare tutti insieme: giudicare di meno e riscoprire il significato della parola empatia.
http://narrazionidifferenti.altervista.org/maccartismo-sessuale-la-caccia-alle-streghe/