domenica 23 dicembre 2018

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Un Natale ed un Anno Nuovo carichi di diritti

L'anno che sta per concludersi, il settantesimo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ci ha viste impegnate nella difesa dei Diritti conquistati faticosamente  da noi donne italiane.

Ci siamo occupate
- di difendere la legge 194,
- di contrastare il Ddl Pillon,
- delle braccianti agricole migranti e italiane sfruttate, abusate e violentate,
- della violenza in rete,
- del modello di accoglienza sperimentata dal Sindaco Mimì Lucano a Riace.

Accoglieremo l'anno nuovo intonando il canto “Combattente” di Fiorella Mannoia e vi aspettiamo per continuare a combattere contro le ingiustizie e per la diffusione dei “diritti, uguali e  inalienabili, che costituiscono il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”.
e per cantare con noi Combattente clicca sul link  https://youtu.be/2eX0nTuFwRI

Buone feste e serenità a tutte le donne e a tutti gli uomini del mondo soprattutto a coloro che vivono senza pace, senza diritti e senza dignità.

Buon Natale e felice Anno Nuovo.

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sabato 15 dicembre 2018

Cosa ci insegna il femminismo del Kurdistan di Alessia Ferri

Nel libro Curdi di Rosemberg & Sellier un capitolo scritto dalla giornalista Antonella De Biasi affronta il tema dell’emancipazione femminile in un lembo di terra tutt’altro che amico se si è nate femmine.

C'è una ragazza in una prigione turca che dipinge con il proprio sangue mestruale. Il suo nome è Zehra Dogan e sua colpa è aver realizzato un dipinto per denunciare la violenza e i soprusi perpetuati sul popolo curdo dal governo di Recep Tayyp Erdogan. Giornalista, pittrice e attivista del Pkk, il Partito curdo dei lavoratori, considerato un'organizzazione terroristica da Turchia, Stati Uniti e Unione europea, sta pagando con la propria libertà la volontà di non chinare la testa di fronte al regime. La sua è una delle storie più eclatanti di resistenza femminile all'oppressione ma non è la sola, visto che la Turchia è la nazione al mondo con più giornalisti incarcerati (anche più della Cina) e che la maggior parte di loro sono donne. A raccontarle è la giornalista Antonella De Biasi, autrice insieme a Giovanni Caputo, Kamal Chomoni e Nicola Pedde del libro Curdi, edito da Rosemberg & Sellier.

LE DONNE TURCHE MADRI DELLE MODERNE GUERRIGLIERE SIRIANE
In particolare Antonella ha approfondito la centralità della figura femminile nell'evoluzione della società patriarcale di questa etnia, concentrandosi sulle curde della Turchia. «Si parla molto delle guerrigliere siriane che hanno combattuto contro il sedicente Stato Islamico ed è giusto perché queste ragazze hanno messe in gioco la vita per difendere i diritti del proprio popolo, diventando protagoniste di una grande rivoluzione, femminile e non solo», spiega l'autrice, «Tuttavia pochi sanno che le loro azioni sono figlie di una battaglia portata avanti dalle donne delle generazioni precedenti, soprattutto turche».

LA RIVOLUZIONE FEMMINILE TURCA DEGLI ANNI OTTANTA
I curdi sono un gruppo etnico che vive nella zona settentrionale e nord-orientale della ex Mesopotamia, in un'area che comprende parti di Iran, Iraq, Siria, Turchia e in misura minore Armenia. La nazione che ne ospita il maggior numero è la Turchia, dove le donne hanno iniziato a far sentire la loro voce dopo il duro colpo di stato del 1980, che ha messo in carcere tanti oppositori quasi tutti di etnia curda appunto. «Con molti uomini dietro le sbarre le donne si sono rimboccate le maniche dando vita a una rivoluzione femminista giunta fino a quella delle guerrigliere che oggi in Medio Oriente sembrano talmente libere da essere associate al movimento #metoo». Giovani, alcune giovanissime attorno ai 16 anni, nonostante la società ancora patriarcale combattono appoggiate dai genitori (perché nei gruppi non sono ammessi uomini quindi la loro verginità è assicurata) con la sfrontatezza tipica dell’età ma anche con la consapevolezza che quella dell'emancipazione femminile per le curde sia una partita tutt'altro che vinta.

L'ERA ERDOGAN: BOOM DI DELITTI D'ONORE E SOPRUSI
«In Turchia col tempo le cose erano un po' migliorate e anche durante i primi anni di Erdogan al potere sembrava si stesse andando verso una sempre maggiore apertura visto che il dittatore si era presentato con l'abito del liberale e aveva dichiarato di voler stipulare la pace con i curdi. Dopo il fallito colpo di stato del 2013 le cose però sono peggiorate drasticamente e i curdi sono tornati ad essere i primi nemici, tanto che molti sono stati incarcerati senza motivo». Tra loro come sempre tante donne, costrette a subire ogni tipo di sopruso, in cella così come nella società civile, dove oggi sono aumentati vertiginosamente i delitti d'onore e sono all'ordine del giorno matrimoni combinati con spose al di sotto dei 18 anni, violenze domestiche, femminicidi e violenze sessuali. «Molte ragazze vittime di stupro denunciano ma oltre all'umiliazione di essere additate come provocatrici e parziali colpevoli, devono subire quello delle pene, spesso ridicole. Ricordo un episodio in cui uno stupratore venne condannato a dire cento preghiere».

IL PATRIARCATO ASSOLUTO DI IRAN E IRAQ
E quella turca, paradossalmente, è la situazione migliore perché in altre zone la questione femminile è ancora lontanissima dall'essere anche solo presa in considerazione. «Delle curde irachene e delle iraniane sappiamo pochissimo perché vivono in comunità governate dalla legge della sharìa che, nonostante nelle scritture del Corano non ve ne sia veramente traccia, vuole la donna sottomessa. Sono zone in mano a clan maschili dove le donne sono ancora schiacciate e ridotte a oggetti in mani altrui». Un giorno anche loro vedranno l'alba di una nuova primavera scandita al ritmo di un girl power consapevole e determinato, come hanno già fatto le ragazze turche e della Siria.

LA COMUNE FEMMINISTA NEL ROJAVA: IL SIMBOLO DELLA RINASCITA SIRIANA
Qui adesso, come racconta Antonella De Biasi, nonostante la strada verso la piena emancipazione sia ancora lunga, per nulla confortevole e piena di polvere e insidie, esiste una piccola oasi di speranza per un futuro più libero: il villaggio di Jinwar. Nell'area desertica del Rojava nel Kurdistan siriano è nata infatti una comunità autogestita di sole donne, una sorta di casa famiglia organizzata come un vero e proprio borgo, dove ogni ospite si sente tutelata e libera di esprimere se stessa senza limiti né giudizi. Una piccola comune femminista dove convivono vedove, ragazze madri, ripudiate dalle famiglie e molte altre, nata a pochi chilometri da Qamishli, in un’area fino a poco fa dominata dalla brutalità maschile che viveva all’ombra dell'Isis e dove migliaia di donne furono rapite dagli jihadisti per essere fatte schiave sessuali, prima di imbracciare elle stesse le armi e iniziare a combattere per liberarsi. Un luogo di rinascita, dunque, voluto proprio da molte di loro e dall'intento dichiarato fin dal nome visto che la parola Jin in curdo significa sia vita che casa. «Mi sembrava giusto raccontare queste ragazze che si aiutano a vicenda a prescindere dalla nazione di provenienza, che non hanno paura né della guerra né del carcere, e che stanno portando avanti una battaglia di emancipazione nella sostanza non molto diversa da quella che ha visto come protagoniste le nostre nonne, non dimentichiamo che il delitto d'onore in Italia è stato cancellato solo nel 1981», conclude l’autrice. Una via curda al femminismo, dunque, della quale sentiremo parlare ancora a lungo.
https://www.letteradonna.it/it/articoli/conversazioni/2018/12/10/donne-curde-combattenti-de-biasi/27291/?fbclid=IwAR3YqVxRzziqdcGozq9bldra5vJb_D-7M6Ce-2tfR4AkOf-zkEbcucnghhY

venerdì 14 dicembre 2018

Amalia Ercoli-Finzi: "Alle bimbe regalate bambole e meccano, così sono diventata la signora delle comete" di Cristina Nadotti

Fa un appello alle ragazze: "Studiate ingegneria, non è solo da uomini"
Due minuti al telefono e di Amalia Ercoli-Finzi ci s'innamora. A 80 anni la prima ingegnera aerospaziale in Italia, la direttrice del progetto Rosetta per lo studio delle comete, ha il piglio travolgente di una giovane donna che cavalca il futuro.

"Fa bene il Politecnico a sensibilizzare le ragazze alla scelta consapevole di corsi di studio in scienza, tecnologia, ingegneria e matematica - dice Ercoli-Finzi - ma purtroppo non è un problema soltanto italiano. Le donne vanno ancora incoraggiate ovunque".

- Come?
"Fin da piccole, ben prima dell'iscrizione all'università. Già da ragazzine devono essere consapevoli che nessuna strada è loro preclusa. Per aiutarle bisogna eliminare gli stereotipi, perché le barriere sono soprattutto di tipo culturale, se non si iscrivono a facoltà scientifiche non dipende certo dalle loro capacità".

- Ci fa un esempio di come superare il problema culturale?
"Sarà banale, ma a una bambina va regalato un meccano insieme a una bambola, vanno aboliti tutti gli stereotipi di genere, si deve iniziare da lì".

- In passato ha raccontato di essere un'ingegnera nata, e che da piccola smontava le biciclette. La sua famiglia la lasciava fare?
"Per niente, non me lo lasciavano fare, ma io mi sono imposta ( ride di gusto, ndr). Comunque questo della scoperta e della curiosità è un discorso che vale anche per i ragazzi: bisogna lasciare che maneggino le cose, che le rompano per poi riaggiustarle. Purtroppo oggi c'è il concetto che per avviare qualunque macchinario basti schiacciare un bottone, invece bisogna incoraggiare bambine e bambini a sperimentare come funzionano le cose, aprendole e magari rompendole. Io facevo così e mi avanzava sempre qualche pezzo".

- Ha parlato della sua determinazione, ma quanti sono gli ostacoli per le donne in campo scientifico?
"Tanti, la tecnologia è l'ultima roccaforte degli uomini, sono sospettosi nei confronti delle ragazze che vogliono passare la soglia. Bisogna educarli, far loro capire che ostacolando le donne ostacolano il cammino della scienza".

- E quando le donne riescono a entrare nelle roccaforti maschili che succede?
"Succede che sono brave. Ritorno al punto di partenza, è indispensabile renderle coscienti fin da piccole delle loro possibilità, non sminuire i loro talenti".

- La scuola dell'obbligo è attrezzata per farlo?
"Guardi, preferisco sottolineare che le famiglie hanno un compito importante in questo senso, devono capire che sostenendo le ragazze nelle loro aspirazioni possono fare la loro felicità".

E chiosa con voce squillante: "Sono ottimista, sa, le cose stanno cambiando in fretta, lo vedo ovunque. Le donne sone sempre più sicure nelle loro scelte perciò andrà di sicuro meglio, non c'è modo, per fortuna, di tornare indietro".
https://www.repubblica.it/scienze/2017/11/07/news/amalia_ercoli-finzi_alle_bambine_regalate_le_bambole_e_il_meccano_cosi_io_sono_diventata_la_signora_delle_comete_-180471033/?fbclid=IwAR0hJEnUadM1O6TnC8aDQVC5IojIHPd2Qa8xfxYsA7Cx6GM13XWDkLB4qHQ

mercoledì 12 dicembre 2018

Left candida il comune di Riace al premio Nobel per la Pace

Siamo una rete di organizzazioni della società civile, Ong e Comuni che vogliono promuovere una Campagna a favore dell’assegnazione del premio Nobel per la pace 2019 a Riace, il piccolo Comune calabrese che invece di rinchiudere i rifugiati in campi profughi li ha integrati nella sua vita di tutti i giorni. Riace è conosciuta in tutta Europa per il suo modello innovativo di accoglienza e di inclusione dei rifugiati che ha ridato vita ad un territorio quasi spopolato a causa dell’emigrazione e della endemica mancanza di lavoro. Le case abbandonate sono state restaurate utilizzando fondi regionali, sono stati aperti numerosi laboratori artigianali e sono state avviate molte altre attività che hanno creato lavoro sia per i rifugiati che per i residenti.

Nel 2018 il Sindaco di Riace, Domenico Lucano, è stato arrestato, poi rilasciato, sospeso dalla carica e infine esiliato dal Comune con un provvedimento di divieto di dimora per “impedire la reiterazione del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. Un provvedimento che rappresenta un gesto politico preceduto dal blocco nel 2016 dell’erogazione dei fondi destinati al programma di accoglienza e inserimento degli immigrati, che lasciò Riace in condizioni precarie.

Gli atti giudiziari intrapresi nei confronti del Sindaco Lucano appaiono essere un chiaro tentativo di porre fine ad una esperienza che contrasta chiaramente con le attività dei Governi che si oppongono all’accoglienza e all’inclusione dei rifugiati e mostrano tolleranza in casi di attività fraudolente messe in atto nei centri di accoglienza di tutta Italia e in una Regione dove il crimine organizzato – non di rado – opera impunemente.

Supportare la nomina del Comune di Riace per il Nobel della pace è un atto di impegno civile e un orizzonte di convivenza per la stessa Europa.

Link al Modulo online per le aderire come organizzazione
https://drive.google.com/open?id=1XAMQJQAbP0mEgkqvBmIbXQWqfcAQClwSsXMNGuyfP-0

Link al Modulo online per aderire come privato cittadino
https://drive.google.com/open?id=1mBGI0d5DsfOgMG3g2FR_sfAha1At1G68maqySAWsXW0
Grazie

Il Comitato promotore:
Rete dei Comuni Solidali; Municipio VIII Roma; Comunità di base San Paolo; Left; ARCI Roma, Comuni Virtuosi; CISDA, Noi siamo Chiesa, ISDE, Festival “Roma incontra il mondo” 2019

https://left.it/2018/12/05/left-candida-il-comune-di-riace-al-premio-nobel-per-la-pace/





domenica 9 dicembre 2018

Ecco perché il governo ha fatto una "bastardata" contro gli orfani di femminicidio

La parola che ho pronunciato ieri di solito non appartiene al mio linguaggio, eppure è salita spontanea alle labbra
Mara Carfagna Deputata di Forza Italia, vicepresidente della Camera

Talvolta certe parole vengono direttamente dal cuore, e dalla rabbia. La parola "bastardata" che ho pronunciato ieri di solito non appartiene al mio linguaggio, eppure è salita spontanea alle labbra quando la Commissione Bilancio della Camera ha respinto il mio emendamento alla manovra economica per istituire un fondo di 10 milioni di euro a sostegno delle famiglie affidatarie dei bambini orfani di femminicidio, gli zii, i nonni, i parenti che crescono questi piccoli dopo la tragedia.

E allora ho giurato che questa storia non finisce qui. Non mollerò, andrò fino in fondo. Lo dobbiamo agli orfani e lo ho promesso a Renato, a Agnese, a Stefania, a tutti quelli che mi hanno raccontato la loro storia. Sono sicura che il mio partito ripresenterà questa proposta, ma oso persino dire che non mi interessa chi lo farà, anzi spero che saranno tanti, perché su questi temi abbiamo ottenuto i migliori risultati quando abbiamo trovato un accordo in nome dei valori più alti, oltre gli schieramenti.

E voglio proprio guardare in faccia uno a uno quelli che avranno di nuovo il coraggio di votare contro o di voltarsi dall'altra parte. Perché le famiglie si trovano in una estrema necessità e hanno diritto a questo denaro. Perché un bambino che ha visto la madre uccisa dal padre è traumatizzato, sconvolto, ha bisogno di cure lunghe e costose, di accudimento costante e di assoluta dedizione.

Ho conosciuto una nonna che non può più andare al lavoro, perché le sue nipotine vogliono stare solo con lei. Come può mantenerle?
Ho raccolto lo sfogo di una zia che non può lasciare solo il nipote superstite un istante.

Questa gente eroica si è rivolta al mio ufficio, qui alla Camera. Sono arrivate lettere, telefonate, richieste di soccorso, ho ascoltato parole che tolgono il fiato e colmano di indignazione. Per questo il 21 novembre, quando abbiamo lanciato da Montecitorio la campagna #nonènormalechesianormale contro la violenza sulle donne, ho pregato nonno Renato di venire a testimoniare in prima persona, e lui lo ha fatto con coraggio e dignità ammirevoli.

Il signor Renato cresce i nipotini con sua moglie dopo il femminicidio della loro giovane figlia, l'assassino sorprese la madre e i bambini davanti alla porta di casa e sua figlia non ebbe scampo. I figli la videro nel sangue prima che il grande riuscisse a portar via la sorellina e fuggire dalla vicina per chiedere aiuto. Come tante altre donne, la figlia del signor Renato aveva denunciato sette mesi prima di essere uccisa, ma lo Stato non ha saputo salvarla e questa è un'altra ragione di giustizia per cui i suoi figli e i suoi genitori hanno diritto a un fondo: nonostante le leggi, lo Stato non è riuscito a difenderle.

Il signor Renato ha raccontato come stanno i suoi nipotini alla Sala della Lupa:
"Servono medicine per farli dormire perché dormire è un tormento. Riescono a prendere sonno soltanto abbracciati a mia moglie, tutti e due. Li spaventa ogni rumore, ogni persona adulta che si avvicina, anche se con il tempo stanno lentamente migliorando. Sono terrorizzati dall'idea che un giorno il loro papà possa ripresentarsi perché vivono nella certezza che voglia tornare per ucciderli".

Come si fa a non provare un dolore profondo, una solidarietà piena? Ho sentito il dovere di intervenire subito, di scrivere un emendamento alla Manovra per creare un fondo dedicato, mi sono appellata a tutti i miei colleghi perché si trovasse un consenso trasversale intorno a questa proposta di civiltà.

Invece il cinismo e l'indifferenza hanno prevalso, ma io credo che alla fine non vinceranno.
https://www.huffingtonpost.it/mara-carfagna/ecco-perche-il-governo-ha-fatto-una-bastardata-contro-gli-orfani-di-femminicidio_a_23610453/?fbclid=IwAR0fN_PeU2Xs0HjQ0FLSPVn3hxZ8yu6AugLiXghw7cpJadRAQCjehbgThAc

GRAZIE

Grazie a Manuela Ulivi e  a Alessio Miceli che ci hanno spiegato con molta chiarezza la proposta di legge Pillon e la sua ricaduta sulla libertà dei bambini e delle bambine. ragazzi e ragazze e sulle donne tutte

Grazie alle donne e agli uomini intervenuti che con i loro interventi hanno reso la serata interessante e hanno aiutato a capire meglio questo argomento 

giovedì 6 dicembre 2018

Manovra, niente soldi per gli orfani dei femminicidi. Carfagna attacca: "Bastardata del governo"

 Mara Carfagna, vice presidente della Camera ed esponente di Forza Italia, all'attacco del governo e delle scelte in materia di legge di Bilancio dopo la bocciatura della proposta di destinare 10 milioni di euro al supporto delle famiglie che si prendono cura dei bambini che hanno perso la madre perché uccisa dal partner.

"Movimento 5 stelle e Lega hanno trovato soldi per tutto: detassare i massaggi e i trattamenti di bellezza negli hotel, consentire ai turisti di fare shopping con 15 mila euro in contanti e far costare meno la birra prodotta nei birrifici artigianali. Promettono soldi a pioggia col reddito di cittadinanza, assumono "navigator", ma non sono riusciti a far spuntare 10 milioni di euro per le famiglie che si prendono cura degli orfani di femminicidio, delle migliaia di bambine e bambini che hanno spesso assistito all'assassinio della madre da parte del padre. E' una vergogna che tradisce tutti gli impegni pubblici presi dai partiti della maggioranza", l'accusa della parlamentare Fi.


Il mancato recepimento dell'emendamento delude anche Stefania Mattioli, socia fondatrice del Rebel Network e destinataria dell'affido delle figlie, di 4 e 6 anni, della figlia Claudia, vittima di femminicidio. "La verità è che gli orfani di femminicidio e le famiglie che si occupano di loro sono lasciati soli dallo Stato. Non ci sono ancora gli strumenti burocratici per attingere ai miseri 3 milioni stanziati dal precedente governo e quello attuale sembra molto più impegnato negli slogan che su misure concrete", il suo commento. "Quello che so io sulla pelle mia e delle bambine di mia figlia Claudia, vittima di femminicidio, è che con le chiacchiere non si aiuta nessuno". Mattioli ringrazia Carfagna e si domanda "come possano guardarsi la mattina allo specchio tutti i parlamentari che hanno rifiutato l'inserimento di questo emendamento".
https://www.repubblica.it/economia/2018/12/05/news/manovra_niente_soldi_per_gli_orfani_dei_femminicidi_carfagna_attacca_bastardata_del_governo_-213485869/?fbclid=IwAR1JVW6yMPJGTYmIfMJaBRARiPcuKSEQDAzex2i0XFaMkl4zC2LK5Vbgvcc

martedì 4 dicembre 2018

Non Una di Meno, voci maschili nella marea femminista di Giansandro Merli e Natascia Grbic

Al corteo femminista contro la violenza maschile sulle donne erano presenti anche degli uomini. E ci hanno spiegato i motivi per cui hanno deciso di partecipare

«Tu a questo corteo non ci dovresti stare proprio».
«Perché sono un uomo?».
«No, non per quello. Perché se non riesci a capire e ad accettare che la testa la tengano le donne è inutile che vieni».
Il botta e risposta è estratto da un video di oltre 3 minuti che repubblica.it dedicò lo scorso anno alla manifestazione di Non Una di Meno del 25 novembre. Le immagini si riferivano a un unico episodio: quello di un ragazzo che pretendeva di stare in testa al corteo, nell’unico spezzone che vedeva invece protagoniste e in prima linea i centri antiviolenza. La richiesta del ragazzo era evidentemente fuori luogo,  indelicata e irrispettosa verso donne che hanno intrapreso percorsi di uscita da abusi e violenze.
Il fatto, comunque, era quasi insignificante nell’economia di quell’enorme mobilitazione che portò in piazza decine di migliaia di donne e uomini sui temi del piano femminista contro la violenza maschile sulle donne. Resta quindi il dubbio su quale dei diversi attori coinvolti abbia fatto la figura più magra: a) il maschietto che non riusciva proprio a spiegarsi perché, per una volta, non poteva prendere la testa di un corteo che evidentemente non aveva neanche aiutato a costruire; b) il giornale che aveva voluto trasformare uno scambio di battute in una notizia scandalistica da home page, con un video voyeuristico di pochi secondi più breve di quello che la stessa testata aveva dedicato alla copertura di tutta la manifestazione.
Comunque, dietro il primo spezzone aperto da donne e soggettività lgbt*qia+, la partecipazione maschile ai cortei di Non Una di Meno è sempre stata ricevuta positivamente. «Dopo tre anni possiamo vedere che anche gli uomini, a modo loro, sono parte di questo movimento – racconta Ambra, attivista di NUDM – In tanti sono entrati nei collettivi locali o in quelli delle scuole, sostengono l’attivismo delle ragazze e discutono insieme. È un segnale positivo».
Anche nel corteo di sabato scorso hanno sfilato tantissimi uomini. Una componente minoritaria, ma presente e caratterizzata da una forte intergenerazionalità. Con tutte le differenze che questa comporta. «Manifestare oggi non è un’esigenza mia personale – dice Beppe, 57 anni, insegnante a Padova – È un’esigenza politica. Bisogna contrastare le misure di questo governo che creano muri e scavano fossi». Francesco di anni ne ha 40 e lavora in televisione, a Roma: «Condivido le istanze di questo corteo. Sono un paio d’anni che leggo le cose che Non Una di Meno esprime in vari contesti. In quanto uomo non so, ma in quanto “me” sono molto d’accordo sulle posizioni del movimento». «È già il terzo anno che partecipo a questa manifestazione – racconta Alessio, informatico genovese di 34 anni – Dalle donne che conosco ascolto storie costanti di violenze subite. Non mi sarei sentito la coscienza a posto rimanendo a casa». Nicola, studente di fisica al quarto anno, università La Sapienza: «Sono venuto in piazza perché sostengo il movimento femminista. È una questione centrale al giorno d’oggi. Anche come maschi ci riguarda molto. Il modello maschilista fa male anche a noi. O almeno, personalmente sento che mi hanno inculcato fin da piccolo dei modelli di uomo e donna che mi creano problemi in prima persona. È una lotta che è giusto portare avanti per tutta la società».
Forse più di altri movimenti del passato recente, Non Una di Meno sembra avere la capacità di incidere nella vita quotidiana, sul piano dell’immaginario, della ricezione dei modelli culturali e dei dibattiti in tv e social network. Ma anche su quello delle relazioni interpersonali e della costruzione dei modelli di comportamento dentro i rapporti affettivi. Alessio: «Più che il movimento, credo mi abbiano cambiato le singole donne che ne fanno parte. Hanno influenzato il mio modo di affrontare le relazioni. Mi sento più consapevole dei miei comportamenti, quando faccio o dico cose maschiliste penso di riuscire a rendermene conto prima. È un piccolo passo». Francesco, studente universitario ventunenne: «Non Una di Meno si è posta in modo aperto. Alcune lotte femministe del passato sono state per certi versi escludenti. Mentre questo movimento ha fornito anche agli uomini strumenti nuovi di partecipazione politica». «Quando ero più ragazzino e non riflettevo su certe cose, davo per scontato le dinamiche del rapporto uomo donna – dice ancora Nicola – Un movimento come Non Una di Meno fa riflettere, migliorare e aiuta a mettersi in discussione».
Claudio ha 60 anni, fa l’educatore e ha in testa una metafora avvincente: «Gli uomini dovrebbero rifiutare l’idea di essere gli addetti a difendere la casa e procacciare il cibo. Dovrebbero vivere di più la quotidianità e il senso di cura. Ho lavorato per il servizio civile e il servizio civile, che viene dalla non violenza, trasforma la “difesa” in un’idea di cura, di prendersi cura del bene comune. Penso che questo grande cambiamento, che rivede il ruolo della polizia e l’idea della sicurezza, stia in qualche modo anche dentro le rivendicazioni delle donne».
E gli uomini, oltre a sfilare in corteo, cosa dovrebbero fare negli altri 364 giorni dell’anno? Dice Francesco: «C’è un po’ il rischio di definire l’uomo in base alla violenza, cercando spiegazioni biologiste. Sicuramente la violenza c’è perché è concessa, normalizzata e quindi spesso neanche si vede. Rispetto agli esiti più violenti, come il femminicidio, credo nascano dall’incapacità di gestire le frustrazioni. È il patriarcato che ti mette nella posizione di non poter dialogare da pari a pari. Io nel mio piccolo cerco di parlare, ma sono abbastanza convinto che dai 40 anni in su siano tutti più o meno irrecuperabili. Bisogna partire dai giovani». «Dobbiamo sforzarci di pensare dei modelli di parità nella vita quotidiana – afferma Luigi, 23 anni, studente di fisica – Non penso tanto a noi giovani a cui viene anche un po’ naturale. Penso a mio padre, in cui osservo dinamiche di un certo tipo, anche se non sono volute. Ad esempio: non l’ho mai visto cucinare. Io mi comporto molto da donna in queste cose. Non perché lo voglia fare, ma perché ci sono dei ruoli, delle diversità, che vanno conservate. Ma non queste, non le distinzioni dei ruoli di casa».
Alessio e Nicola sono d’accordo su un punto di partenza possibile. Alessio: «Gli uomini dovrebbero prima di tutto parlare ad altri uomini e non stare zitti. Anche a costo di essere derisi o visti male. Discutere, riflettere e poi far notare tutte le battute, le frasi e gli atteggiamenti sessisti». Nicola: «Iniziare a parlarne tra di noi, sentire che c’è un problema».
https://www.dinamopress.it/news/non-una-di-meno-voci-maschili-marea-femminista/?fbclid=IwAR2wmRt6YneHgWBw_6ulVVTK7iLWpBpzKkUTfpb0Uh6LCHqmx-71QwYhBg0

lunedì 3 dicembre 2018

Alessandra Schilirò ci spiega come riconoscere la violenza sulle donne di Melissa Aglietti

Vice questore, ha diretto la quarta sezione della squadra mobile di Roma, che si occupa di reati sessuali. Ne ha scritto nel libro Soli nella notte dell’anima.
 
«L’amore è il primo fattore chiamato in causa dagli uomini in caso di femminicidio. Ecco perché è necessario diffondere una cultura che insegni a essere liberi di esprimere ciò che si è, nel rispetto dell’altro. Ed educare all’amore, quello vero». Nunzia Alessandra Schilirò, vice questore aggiunto in servizio all’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, ha diretto per quattro anni la squadra mobile di Roma, occupandosi di alcuni dei reati sessuali che più hanno sconvolto l’opinione pubblica. Nel suo libro Soli nella notte dell’anima – Come reagire alle molestie in casa, al lavoro, per strada (edizioni Imprimatur) raccoglie i frutti del suo lavoro sul campo a fianco delle vittime. «Non potevo permettere che la mia esperienza rimanesse sterile. Volevo condivisione». Un manuale che si rivolge non solo a chi subisce abusi e molestie, ma anche a chi si trova ad assistere a episodi di violenza e a maltrattamenti come semplice spettatore, con esempi tratti da storie vere, strategie da seguire e consigli pratici. Suggerimenti che il vice questore continua a diffondere anche attraverso la sua pagina Facebook. «Voglio essere utile a tutti. Anche a chi non posso aiutare direttamente».
DOMANDA: Come si riconosce la violenza?
RISPOSTA: Secondo la Convenzione di Istanbul, può essere di natura fisica, sessuale, economica o psicologica. Spesso, però, è difficile dimostrare di avere a che fare con un caso di violenza.
Perché?
Ad esempio, secondo il nostro Codice penale, la violenza sessuale si presenta ogniqualvolta si cerchi l’appagamento sessuale con la minaccia, l’abuso di autorità o la forza fisica. Ma, da questo punto di vista, rimangono escluse una serie di dinamiche. Mi auguro che anche l’Italia si adegui ad altri Paesi europei: dovrebbe bastare la mancanza di consenso per considerare un rapporto sessuale un reato.
L’abuso psicologico, invece, dove comincia?
Ogni volta che un uomo non solo pretende di essere il nostro mondo ma ci isola dagli altri perché «non sono alla nostra altezza». L’isolamento sociale si trasforma poi in isolamento da noi stessi. Il nostro compagno diventa geloso anche delle nostre passioni. E inizia a distruggere la nostra autostima, dipingendoci come persone incapaci e chiedendoci costantemente prove del nostro amore. A questi momenti se ne alternano altri in cui si crede di avere al proprio fianco l’uomo perfetto. Un andirivieni di comportamenti che porta al cortocircuito emotivo.
Come reagire alla violenza?
In caso di abuso sessuale bisogna avere molto coraggio e chiamare immediatamente le forze dell’ordine senza cambiarsi i vestiti o lavarsi, perché si potrebbero eliminare delle prove fondamentali per rintracciare lo stupratore. Dalla violenza psicologica, invece, si esce cominciando a parlare con un’amica o una parente. E riprendendosi i propri spazi. Si tratta di passi importanti che preparano la strada verso la denuncia. Aiutano a riprendere contatto con quell’intimità che la donna ha soffocato per soffrire meno.
Cosa fare invece se si assiste a un caso di abuso?
Avvisare le forze dell’ordine. Ma purtroppo non è sempre facile. Si tratta di reati che si consumano principalmente fra le mura domestiche.
Cos'è Soli nella notte dell'anima? Un manuale o una raccolta di consigli derivati dalla sua esperienza sul campo?
Ѐ un insieme di storie e suggerimenti pratici rivolti a chi vive relazioni difficili e che abbraccia tutti gli ambiti della vita di una persona, dal lavoro alla strada.
Qualche esempio?
Nei casi di molestie in ambito lavorativo consiglio alle vittime di fabbricarsi prove, inviando mail al proprio capo in cui chiedere spiegazioni su comportamenti che possono essere ricondotti alla sfera del mobbing o registrando le conversazioni con i superiori e i colleghi che esibiscono un atteggiamento vessatorio nei loro confronti. Se si è abusati psicologicamente, invece, invito a non distruggere i messaggi scambiati con il proprio persecutore. Anche se non è alla persona offesa che spetta il compito di raccogliere prove.
Con quanti casi di violenza si è dovuta confrontare nel corso della sua carriera?
Molti. Roma è sconfinata. Ma anche uno solo sarebbe già troppo.
Ce ne sono alcuni che hanno toccato in modo particolare l'opinione pubblica?
Mi sono occupata, ad esempio, del caso della minorenne violentata a piazzale Clodio da un finto agente di polizia. Un episodio di cui la stampa ha parlato diffusamente.
Secondo la sua esperienza, gli episodi di violenza e molestie si sono intensificati nel corso del tempo?
I dati del Ministero degli Interni ci dicono che in reati sessuali sono in calo, ma non canterei vittoria. Molte donne non denunciano.
La violenza è un comportamento anomalo o purtroppo si tratta di un carattere tipico della nostra cultura?
Purtroppo è insita nella nostra società. Anche se poi bisogna analizzare altri aspetti.
Cioè?
Ad esempio quello legato al livello d’istruzione. Dove c’è più ignoranza sono maggiori i casi di violenza, mentre le donne laureate tendono a denunciare di più.
Spesso tra i commenti agli articoli che riportano storie di abusi compare sempre, più o meno velatamente, un «se l'è cercata». È il segno che viviamo in una società della molestia pienamente accettata da molti, sia uomini che donne?
Assolutamente sì. Un tempo ci bruciavano sul rogo se ci ribellavamo ai nostri aguzzini. Oggi ci accusano perché siamo tornate da sole a casa nel cuore della notte o perché eravamo vestite in modo non ortodosso. Per questo bisogna diffondere un nuovo tipo di cultura che insegni a essere noi stessi nel rispetto degli altri. E imparare a trattare diversamente la violenza di genere.
In che senso?
Allargandone il campo e smettendo di parlare di violenza di genere. Si tratta di un’etichetta che va a fomentare la competizione fra i sessi e che ci appiattisce sul piano biologico. Nel genere dei soggetti sensibili rientrano anche alcuni uomini. Che a furia di sopportare potrebbero trasformarsi in carnefici.
Hai parlato della necessità di diffondere un nuovo tipo di educazione. Ma come può essere la cultura una risposta alla violenza in una società in cui il ruolo dell'educatore sta lentamente scomparendo?
Ѐ una bella domanda. Stiamo convincendo i nostri ragazzi che tutto è possibile. Li trattiamo come divinità. Ma poi ci scandalizziamo se un uomo si rifiuta di essere lasciato. Da adulti si ripete ciò che si impara.
https://www.letteradonna.it/it/articoli/conversazioni/2018/11/28/alessandra-schiliro-polizia-violenza-sulle-donne/27200/?fbclid=IwAR24KW4-xt9d8TfnSsCD0A15hY7xFupBExIoY65GafT3uBrX0htU6OMeeS0

venerdì 30 novembre 2018

Pro life al consultorio, obiettori in corsia: la pazienza delle donne sta per finire di Paola Corsetti

I treni della negazione dei diritti delle donne hanno tutti i posti a sedere occupati, hanno i vagoni stracolmi di discriminazione, e la direzione di marcia la impartiscono le organizzazioni criminali antiabortiste. La Ue, dal canto suo, così apparentemente solerte nel mostrare attenzione alla salute degli europei tanto da emanare una direttiva che vieta la “pericolosissima” cottura della pizza margherita nel forno a legna, non ha mai emanato una direttiva che obblighi gli Stati membri ad assicurare la presenza di consultori, o di strutture similari, in misura sufficiente a consentire la tutela dei diritti sulla sessualità e sulla riproduzione.
Nel settembre del 2013 il Parlamento europeo bocciò la Relazione sui diritti sessuali e riproduttivi presentata dalla parlamentare portoghese Estrela, grazie anche alla astensione dei parlamentari cattolici del Pd.
La Risoluzione Estrela avrebbe consentito alle donne dell’Ue di poter contare su una tutela legislativa in tema di gravidanze indesiderate con accesso alla contraccezione e all’aborto sicuro e legale.
Due anni dopo, nel 2015, è stato presentato dall’eurodeputato belga Tarabella, il Rapporto sull’eguaglianza tra donne e uomini, che è stato approvato.
La Risoluzione Tarabella segna un passaggio importante perché ha qualificato formalmente l’aborto come un diritto, ma di fatto è stata neutralizzata dall’approvazione di un emendamento secondo il quale, in materie legate alla vita, al matrimonio e alla famiglia in generale, la competenza legislativa rimane nella autonomia degli Stati. L’interruzione di gravidanza in Italia, regolamentata dalla legge 194/78, trovava una precedente cornice attuativa nella legge 405/75 istituiva dei consultori familiari. La Legge 194/78, nel regolamentare l’interruzione di gravidanza, richiamava espressamente la legge istitutiva dei consultori, affidando a queste strutture socio-assistenziali-sanitarie il compito di dare supporto alla procreazione consapevole e alla scelta della interruzione. Attorno ai consultori, da quel momento, si è concentrata la guerra repressiva contro l’autodeterminazione femminile, consentendo alle organizzazioni antiabortiste di infiltrarsi per condizionare le scelte, negando alle donne il riconoscimento della capacità di decidere del proprio corpo. È un dato acquisito quello secondo il quale il controllo sociale si ottiene con il controllo di tutti i processi che regolano i comportamenti umani, sia individuali che collettivi, e siccome la sessualità costituisce uno degli aspetti preminenti delle società umane, il controllo della sessualità femminile ha come risultante il controllo dell’intera società.
Tutte le società umane hanno codificato la vita sessuale, e le strutture di potere sono sempre passate attraverso il controllo della sessualità, femminile in prima istanza e maschile per conseguenza. La attuale recrudescenza delle spinte repressive contro la sessualità femminile, sono in effetti la conferma che il potere, politico ed economico, evidentemente non riesce poi così bene a controllare le masse, e vuole ripristinare un presunto ordine sociale attraverso quella che ritiene sia la modalità più consolidata, ovvero la negazione dei diritti femminili. Le associazioni antiabortiste cosiddette pro-vita che si infiltrano nei consultori, sono le stesse che, per intenderci provengono da quelle formazioni politiche che hanno legiferato il finanziamento di campi di concentramento per minori in territorio straniero, e che dichiarano, peraltro, di muoversi in adesione alle aspettative delle caste sacerdotali verso le quali si mostrano prone. Ma c’è un dato che, in prospettiva di contrasto, i fondamentalisti non hanno considerato, ovvero che quando si è raggiunta la consapevolezza di un diritto, non si è disposti a cederlo e che la repressione sessuale, attuata con la chiusura dei consultori o con la limitazione di quelli funzionanti, attuata anche con la complicità di donne malate di patriarcato, potrà essere un boomerang.

L’avvocato Carla Corsetti è segretaria nazionale di Democrazia atea e fa parte del coordinamento nazionale di Potere al popolo.
La riflessione di Carla Corsetti è tratta da Left in edicola dal 23 novembre 2018
https://left.it/2018/11/24/pro-life-al-consultorio-obiettori-in-corsia-la-pazienza-delle-donne-sta-per-finire/?fbclid=IwAR39MeDHo-uNH3MVei7xvhBcgLYdHzeUNGjz66XoLfZcEvCNzK-4iirUtIQ

giovedì 29 novembre 2018

Italiani, popolo di santi, poeti e picchiatori di donne di Alessandro Zaghi

Ogni giorno in Italia 135 donne si rivolgono a un centro antiviolenza, l’80 per cento delle violenze avviene in famiglia

Sono 6 milioni e 788mila le donne che hanno subito una qualche forma di violenza nella loro vita; 4 milioni e 353mila le vittime di violenza fisica, 4 milioni e 520mila quelle di violenza sessuale. Numeri glaciali, questi diffusi dall’Istat, ancor più se confrontati con i 94 casi di femminicidio registrati dall’inizio del 2018 fino allo scorso ottobre, così come i 2977 di violenza sessuale o quelli di stalking, 8418 in soli nove mesi. Indecifrabili, invece, gli episodi si sessismo: apprezzamenti non richiesti, contatti fisici non graditi sul posto di lavoro da parte di un superiore, così come la scelta di assumere più uomini che donne o il divario salariale rispetto ai colleghi maschi.

Una lista vertiginosa di tragedie spesso sottaciute dalle stesse vittime: che sia per paura del carnefice – l’80% dei maltrattamenti avviene fra le mura domestiche, mentre sono 855 mila i casi di violenza perpetuata dal partner – o per la vergogna, talvolta paralizzante, per cui chi ha subito violenza diventa un bersaglio mediatico, una ‘macchia nera’ da rimuovere agli occhi della società, talvolta della stessa famiglia, tant’è che solo il 7% dei casi di stupro viene denunciato.

Percentuale, quest’ultima, figlia anche dell’impreparazione dell’Italia davanti a questo tema. Lo denuncia una ricerca condotta da Grevio, (Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence), organismo voluto dal Consiglio europeo per verificare che in ogni Paese firmatario sia applicata la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica. Infatti, sarebbero oltre 5mila i posti letto mancanti per chi chiede un tetto sotto cui rifugiarsi dopo esser scappata dalla propria casa, teatro dell’abuso, mentre dei pochi fondi destinati ne sarebbero stati utilizzati appena lo 0.02%.

Secondo l’Istat, per la prima volta impegnato in un’indagine sui servizi offerti dai Centri antiviolenza, nel solo 2017 sarebbero state 49.152 le donne a essersi rivolte a una struttura specializzata, di queste 29.227 hanno avviato un percorso di uscita dalla violenza. Fra chi ha avuto il coraggio e la forza di rivolgersi a un centro, il 63,7% ha figli, minorenni nel 70% dei casi.

Un grido talvolta inascoltato, altre volte normalizzato, come sottolinea la campagna Non è normale che sia normale, lanciata dalla vicepresidente della Camera Mara Carfagna in occasione della giornata dell’Onu contro la violenza sulle donne di domenica 25 novembre. «Diamo voce a chi la voce ormai l’ha persa», ha detto Carfagna, «Serve una rivoluzione culturale, e le testimonianze per scuotere le coscienze. Per questo ho invitato qui alla Camera alcune persone che hanno subito violenze, per raccontare le loro storie ed affrontare lo strazio di questi traumi. I social devono essere usati non per molestare, o per veicolare fake news, ma per diffondere il messaggio nobile di contrasto alla violenza sulle donne».

Alessandro Borghi, Fiorello, Andrea Delogu, Bruno Barbieri, Vincenzo Salemme, Annamaria Bernardini De Pace, Paola Turci, Noemi, Claudia Gerini, Francesco Montanari, Alessandro Roia, Geppi Cucciari, Bianca Balti e tantissimi altri sono i nomi che hanno aderito alla campagna, postando sui social un video o una fotografia con l’occhio nero marchiato di rosso, simbolo della violenza, accompagnato dall’hashtag #nonènormalechesianormale.

https://www.rollingstone.it/politica/italiani-popolo-di-santi-poeti-e-picchiatori-di-donne/437157/?fbclid=IwAR2VwylgixI0zcD48NB3wqhutdLmMnmmTSMP0g3IGklXd7QngXaZuKhsf8M

martedì 27 novembre 2018

Femminicidio, perché le donne continuano a morire: “Dati falsati, si sottovaluta la violenza degli uomini” di Elisabetta Ambrosi

Stupite, critiche, indignate: le esperte di violenza sulle donne – statistiche, avvocate, sociologhe, persone che lavorano sia sul campo o che sulla violenza fanno ricerca da anni – non riescono a capacitarsi che la Polizia di Stato abbia diffuso, in vista della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, un rapporto, Questo non è amore, in cui il numero dei femminicidi relativi al 2018 risulta di sole 32 donne morte, perché la gran parte dei 94 omicidi non sono considerati tali. A contestare la cifra è, anzitutto, chi i femminicidi li conta da oltre tredici anni, cioè la Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, unica banca dati italiana, visto che nel nostro Paese non esiste ancora un Osservatorio nazionale sulla violenza sulle donne. “Da oltre tredici anni noi raccogliamo i dati dei femminicidi, e lo facciamo basandoci solo sulla cronaca, il che significa che anche i nostri sono ampiamente sottostimati”, spiega Anna Pramstrahler. “Al contrario di quanto sostiene la Polizia, purtroppo, il dato è abbastanza fermo, negli ultimi anni siamo sempre su circa 120 donne uccise all’anno. Da gennaio ci risultano 82 donne uccise, 50 in più del dato del Ministero. Il fatto è che quando analizzi gli omicidi devi sapere esattamente cos’è un femminicidio. Noi utilizziamo la definizione delle Nazioni Unite”.

“Quel dato, anche rispetto alla serie storica degli anni passati, è veramente basso e dunque inverosimile”, dice a sua volta Anna Romanin, Presidente del Coordinamento dei Centri antiviolenza dell’Emilia Romagna e formatrice della Casa delle Donne di Bologna. “Mi chiedo su quale base teorica abbia ragionato il Ministero”. Non è un caso infatti che il rapporto Attuazione della Convenzione di Istanbul in Italia, stilato nell’ottobre 2018 dalle Associazioni di donne per il Gruppo di Esperti indipendenti (il Grevio) che monitora l’attuazione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro violenza nei confronti delle donne abbia esplicitamente sottolineato come il ministero degli Interni non utilizzi “una definizione esaustiva di femminicidio, che possa dare un contenuto sulla qualità dei dati. Anche la recente ricerca svolta dal ministero della Giustizia sulle sentenze emesse è parziale in quanto non analizza in modo approfondito le dinamiche che hanno scatenato l’uccisione”.

Il problema semmai, sostengono coloro che di violenza si occupano, è proprio il contrario: e cioè che il numero delle donne uccise non scende, nonostante le campagne di sensibilizzazione e l’attenzione dei media al tema. “Mentre gli omicidi diminuiscono, i numeri dei femminicidi e degli altri reati violenti sulle donne restano inchiodati”, spiega Linda Laura Sabbadini, statistica sociale pioniera degli studi di genere. Lo conferma anche Giorgia Serughetti, sociologa e ricercatrice, membro del progetto Edv per lo studio e il contrasto della violenza contro le donne (Università Milano Bicocca). “Il problema di fronte a cui siamo è proprio la relativa stabilità del fenomeno, in uno scenario generale in cui gli omicidi sono in calo. La violenza basata sul genere è di gran lunga la prima causa di morte violenta per le donne. Con questo fatto dobbiamo confrontarci”.

Calo dei reati o delle denunce?
Secondo la Polizia di Stato, però, a calare non sono solo i femminicidi, ma anche i cosiddetti “reati spia”, come maltrattamenti in famiglia, stalking, percosse, violenze sessuali. Nel quadriennio 2014-2017, si legge sempre in Questo non è amore, si evidenzia complessivamente “una flessione, con un sensibile aumento dell’azione di contrasto (misurata in termini di denunce e arresti)”. Calerebbero negli ultimi 8 mesi i reati di stalking (-15,5%), i maltrattamenti in famiglia (-4,47%), le violenze sessuali (-6,65%), le percosse (-11,25%). Dati che, nuovamente, vengono messi in discussione da chi si occupa di violenza di genere. “Come si fa a parlare di diminuzione dei reati se ci si basa quasi esclusivamente sulle denunce?”, interviene Raffaella Palladino, Presidente di D.i.Re, l’associazione Donne in rete contro la violenza, costituita da oltre 80 centri in Italia. “I dati della polizia segnalano una diminuzione delle denunce, non del fenomeno”, spiega Giorgia Serughetti, “ma non si può stabilire nulla a partire da questi dati”. Sempre il Grevio, infatti, mostra come sia il Ministero dell’Interno che quello di Giustizia “abbiano infatti unicamente a disposizione i dati delle denunce e che in Italia non esista un sistema di rilevazione nazionale delle donne che si rivolgono, a causa di situazioni di violenza, ai servizi sanitari (medicina di base, consultori, pronto soccorso, strutture ospedaliere, medicina specialistica, Dsm, Sert ecc.) e sociali (servizi sociali pubblici e privati)”. A livello non istituzionale, continua il Rapporto, “l’unica rilevazione sulle donne vittime di violenza accolte dai Centri antiviolenza è quella annuale condotta dall’associazione nazionale dei Centri antiviolenza D.i.Re, Donne in Rete contro la violenza, relativa alle donne accolte dalle 81 associazioni aderenti alla rete”.
Diminuisce la violenza leggera, aumenta quella grave
L’unico Istituto che possiede dati di tipo epidemiologico, ovvero sulla diffusione effettiva di un fenomeno, è l’Istat, che però sul tema ha fatto due ricerche nel 2006 e nel 2014. Nell’ultima indagine, si rilevava come negli ultimi 5 anni il numero di donne che hanno subìto almeno una forma di violenza fisica o sessuale ammontasse a 2 milioni 435 mila, l’11,3% delle donne dai 16 ai 70 anni. Quelle che hanno subìto violenza fisica sarebbero 1 milione 517 mila (il 7%), le vittime della violenza sessuale sono 1 milione 369 mila (il 6,4%); le donne che hanno subìto stupri o tentati stupri sono 246mila, (1,2%). La violenza nelle relazioni di coppia, negli ultimi 5 anni (sempre in relazione al 2014, però), ha riguardato il 4,9% delle donne (1 milione 19 mila), in particolare il 3% (496 mila) delle donne attualmente con un partner e il 5% (538 mila) delle donne con un ex partner. Considerando solo le donne che hanno interrotto una relazione di coppia negli ultimi 5 anni, la violenza subìta sale al 12,5%. Rispetto all’indagine precedente, dice l’Istituto, ci sono segnali di miglioramento – diminuiscono la violenza fisica e sessuale da parte di partner attuali e da parte degli ex partner, e calano la violenza sessuale e le molestie sessuali – ma “non si intacca lo zoccolo duro della violenza nelle sue forme più gravi (stupri e tentati stupri) come pure le violenze fisiche da parte dei non partner mentre aumenta la gravità delle violenze subite”. Una dinamica che le esperte di violenza hanno ben chiara. “Quello che risulta, purtroppo”, spiega Linda Laura Sabbadini, “è una diminuzione della violenza più lieve, come quella psicologica. Ma stupri e omicidi non scendono. Paradossalmente diminuisce il complesso delle violenze e in particolare quelle lievi, ma aumenta la gravità delle altre. Molte piu donne dichiarano di aver avuto paura per la propria vita. la crescita della coscienza femminile fa sì che piu donne specie giovani interrompano l unione prima dell’ escalation alle prime avvisaglie. Ma  fa sì anche che le reazioni degli uomini alla voglia di liberarsi dalla violenza delle donne piu mature che già stanno vivendo l’escalation  da parte di uomini che vogliono dominare e possedere la loro compagna siano molto più dure. E così diminuisce la violenza nel complesso e aumenta il rischio di femminicidio. Ciò deve portare ad essere più efficaci  nelleazioni le forze dell’ordine e piu attivi nella prevenzione le politiche”. Non è un caso, infatti, come ben sottolinea la penalista Teresa Manente, avvocata specializzata nella difesa dei diritti della vittima di violenza di genere, che “nella maggior parte dei casi di femminicidio le donne o avevano già denunciato, ma il pericolo è stato sottovalutato, o non hanno denunciato per paura di ulteriori violenze, vivendo in un contesto sociale che ancora le colpevolizza e giustifica i maltrattanti”.

Leggi non attuate e fondi che latitano
Cosa bisognerebbe fare, allora, perché la violenza diminuisca realmente (e con essa, anche i numeri dei femminicidi)? Abbiamo bisogno di nuove misure normative? “No. Le leggi ci sono e ciò è stato evidenziato in ogni sede, dalla Corte europea di Strasburgo all’ONU. Il problema è la loro attuazione”, spiega la penalista Manente. “Il cosiddetto bollino rosso di cui parla il governo è in realtà già previsto dal codice di procedura penale, che a seguito della legge n.119/2013 prevede una corsia preferenziale di trattazione dei procedimenti per i reati di stalking, violenza sessuale, maltrattamenti. Il punto non è quindi la difficoltà di punire o l’assenza di leggi, ma è la sottovalutazione della pericolosità della violenza maschile, della gravità delle condotte e dell’entità dei danni provocati, da cui derivano sentenze che applicano pene irrisorie e riconoscono attenuanti negate dai fatti. A ciò si aggiunge che le donne hanno bisogno e chiedono protezione nell’immediatezza della querela: una risposta superficiale o addirittura assente delle autorità rinforza i maltrattanti che di conseguenza aggravano la loro condotta perché avvalorati nella loro pretesa di impunità”. E poi, ovviamente, c’è il problema dei fondi destinati ai centri antiviolenza. Un’analisi della loro ripartizione e dell’efficacia della legge 119/2013 è stata messa in rete da Action Aid. Secondo l’organizzazione, non è possibile stabilire se le risorse stanziate per il 2015-2017 “siano effettivamente rispondenti ai bisogni di prevenzione del fenomeno della violenza di genere e della protezione delle donne che la subiscono”. Molto chiaro invece è il ritardo nell’erogazione dei fondi a livello centrale e regionale, che “mette a rischio la continuità e la qualità dei servizi e dei programmi” dei centri. Centri che, come spiega l’Istat, che ieri ha diffuso alcuni dati relativi al numero di donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza nel 2017, hanno accolto ben 49.152 donne, pur soffrendo di mancanza di posti ed essendo la metà delle operatrici totalmente (e ingiustamente) volontarie. “Anche quando i soldi ci sono insomma”, spiega Raffaella Paladino, “non vengono distribuiti perché mancano i decreti attuativi – basti pensare che non è stato ancora distribuito il fondo del 2017- oppure perché i criteri di assegnazione sono scarsamente trasparenti e i soldi finiscono anche in mano a realtà che non hanno esperienza”.
L’altro fronte riguarda la prevenzione culturale e sociale. “C’è stato sicuramente uno sforzo notevole e diffuso, sia di sensibilizzazione, sia di educazione e formazione, a vari livelli”, spiega la sociologa Serughetti. “Nonostante questo però non è stato implementata nessuna azione sistematica, che vada dall’educazione della prima infanzia fino alla trasformazione di comportamenti e atteggiamenti in età adulta. Inoltre, la trasformazione profonda della mentalità comune – che considera le donne come qualcosa che l’uomo ha diritto di possedere e che quindi non accetta di vedere allontanarsi – richiede tempi lunghi e un lavoro complesso, che non avviene in pochi mesi o in pochi anni”.

Non aiuta in questo senso l’ideologia che il governo, soprattutto la Lega, sta mettendo in campo. “Se passa il ddl Pillon possiamo chiudere i centri antiviolenza e dire alle donne di smettete di denunciare”, dice Anna Romanin, mentre Serughetti conclude: “La politica dà segnali contraddittori che non aiutano a stabilizzare politiche di prevenzione e contrasto. Solo un esempio: Giulia Bongiorno, che propone misure come il “bollino rosso” per l’esame delle denunce, ma al contempo difende l’esistenza della (inesistente) sindrome di alienazione parentale, che dà la colpa alle madri se c’è rifiuto dei minori di vedere i propri padri – cosa che spesso accade perché questi padri sono, appunto, violenti”.
In una prima versione dell’articolo il rapporto sull’Attuazione della Convenzione di Istanbul era stato attribuito inizialmente al “Grevio” anziché dalle associazioni di donne che hanno elaborato il dossier proprio per il Grevio. Ce ne scusiamo con i lettori e con gli interessati.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/11/24/femminicidio-perche-le-donne-continuano-a-morire-dati-falsati-si-sottovaluta-la-violenza-degli-uomini/4787723/?fbclid=IwAR2YQZI6qn1UbD837BzE0VHSJbFrkXEj4CmwjwRINUFJN3FX9MW4v8DiZp0

cosa si nasconde dietro il Ddl Pillon?

stasera mercoledì 5 dicembre a"La Pianta" 
via pascoli, 3 Corsico 
con Manuela Ulivi avvocata della Casa delle donne maltrattate di Milano e Alessio Miceli di Maschile plurale analizziamo una proposta di legge sull'affido in caso di separazione che ha suscitato tante prese di posizione contrarie 



lunedì 26 novembre 2018

25 novembre 2018 Perché è il 25 novembre peggiore di sempre di Cristina Obber

Celebriamo la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, senza dimenticare che l'attuale governo, quello tra le altre cose del ddl Pillon, ci sta portando indietro di 70 anni.

Forza Nuova scende in piazza a Verona contro il diritto all'aborto
Le iniziative della Giornata contro la violenza sulle donne
Le cose da sapere sull'Assemblea generale di Non una di meno
Almeno 49 mila donne hanno chiesto aiuto ai centri antiviolenza
In una settimana di manifestazioni ed eventi per celebrare il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, è morto Marco, un bambino di 11 anni, soffocato dal fumo nel sonno pomeridiano perchè il padre, già denunciato per maltrattamenti, ha dato fuoco alla casa. Marco si aggiunge all’elenco delle donne e dei bambini uccisi per mano di uomini che si ostinano a esercitare potere di vita e di morte sulle loro compagne e sui loro figli. Di qualche giorno prima è invece la notizia di un padre-padrone che in provincia di Pescara teneva segregate in casa moglie e tre figlie minorenni impedendo loro di uscire e abusandone fisicamente e psicologicamente. Insomma un 50enne che richiama l’imitazione del senatore Simone Pillon firmata Maurizio Crozza che fa la stessa con le sue familiari. La realtà supera la fantasia, o meglio, fantasia e realtà si intersecano e si confondono in questo Paese confuso che alle cose non sa più dare un nome e che si ritrova il governo più maschilista dal dopoguerra.
ERA GIÀ TUTTO PREVISTO NEL CONTRATTO DI GOVERNO
Un governo che è nato con un contratto subito contestato da molte associazioni, una tra tutte la rete nazionale dei centri antiviolenza Di.Re, che in una lettera datata 20 maggio 2018 e indirizzata al presidente Sergio Mattarella esprimeva grande preoccupazione per «la complessiva violazione dei diritti umani fondamentali di donne, bambini/e e migranti, tra i quali moltissime donne con alle spalle dolorose esperienze, che il Contratto manifesta nel suo complesso». Misure che «si pongono tutte in aperto contrasto con quanto stabilito dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro il fenomeno della violenza di genere, ratificata con legge n. 77/2013 (Convenzione di Istanbul)», scriveva la presidente Lella Palladino. Nel documento siglato dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega si parla anche di alienazione genitoriale e famiglie (meglio se italiane). Dunque si era già deciso di contrastare conquiste e libertà e rimetterci al nostro posto. E qual è questo posto? La casa. Da quel contratto nasce il ddl Pillon che in caso di violenza domestica si traduce in testa bassa e rassegnazione per donne e minori, proprio come una volta. In nome di una bigenitorialità perfetta, che però riguarderebbe i padri solo dopo una eventuale separazione, tutelando maggiormente quelli che non sono stati presenti e responsabili fin dalla nascita dei figli. Tutelando addirittura gli abusanti. Non è quindi un caso che dalla manovra di bilancio 2019 sia sparito il congedo di paternità introdotto nel 2013, un primo passo verso la bigenitorialità autentica, quella che anche le donne desiderano perchè significherebbe condividere con i propri compagni lo stesso carico di impegno e responsabilità.
DAL PD A DI MAIO, PILLOLE DI IPOCRISIA
D’altronde se anche un senatore del Partito democratico (tale Mauro Laus) si permette di dire ad una collega in aula (tale Alessandra Maiorino, M5S): «Tornatene in cucina», senza che ci sia alcun provvedimento nei suoi confronti da parte dei vertici, allora perchè stupirci di ciò che arriva da parte del governo più a destra di tutti quelli di cui ho memoria da quando sono bambina? Fa sorridere la scelta di Luigi Di Maio di pronunciarsi nel merito del ddl Pillon proprio il giorno prima delle tante manifestazioni per il 10 novembre promosse in tutta Italia da Di.Re che ne hanno chiesto il ritiro immediato. Ricorda il suo tardivo intervento contro l’esclusione dei bambini dalla mensa a Lodi solo successivo all’ondata di indignazione nazionale. Sì, parliamo di una rincorsa al consenso popolare. Ma sul ddl Pillon il tentativo del ministro del Lavoro di schierarsi con «gli italiani», come gli piace ossessivamente ripetere, è stato più goffo. Perché, come dicevamo, quel disegno è nel contratto, che lo anticipa e lo giustifica. Chiedere qualche modifica, in linea con Matteo Salvini, significa mentire sapendo di mentire, cercare di non perdere voti pur mantenendo fede all’alleanza. Ma, si sa, salvare capra e cavoli non è possibile. Il disegno va ritirato, hanno risposto cittadini e associazione, anche cattoliche.
DALLA 194 ALLE MINORENNI ALLA GOGNA
Non possiamo inoltre permettere che l’integralismo del family day entri a gamba tesa nella politica di uno Stato fino a prova contraria laico. La legge 194 è sempre più in pericolo: in una petizione indirizzata alla ministra della Salute Giulia Grillo quattro ginecologhe hanno perfettamente reso l’idea di cosa deve affrontare oggi una donna per abortire. Petizione che, per altro, ha superato le 100 mila firme. Aspettiamo allora qualche dichiarazione grillina strappa consenso. Sempre il 2018 è l'anno in cui a Novara un provvedimento comunale ha vietato «abiti che offendano il comune senso del pudore». Cosa che ci fa venire in mente Hina Salem, la giovane pakistana a cui il fratello ha strappato la foto dalla tomba perchè la sorella in canottiera offendeva l’onore di una famiglia che in nome dell’onore l’ha uccisa.
Siamo uno stato laico eppure intriso di un bigottismo made in Italy
E ancora la protesta dei perizomi irlandesi. Come se non ci stuprassero tanto col burka quanto in shorts. Siamo uno stato laico eppure intriso di un bigottismo made in Italy che ad ogni notizia di violenza sessuale insinua che le donne se la vadano a cercare, soprattutto se sono belle, soprattutto se sono giovani. Questo da sempre, ma oggi c'è un ministro degli Interni che strumentalizza la violenza su Desirèe perchè gli autori hanno la pelle nera e si può gridare: «Al lupo al lupo», mentre per Violeta Senchiu che è romena ed è stata uccisa da un italiano non accorre, non rilascia dichiarazioni. Nemmeno un selfie sulla scena del crimine. Lo stesso ministro degli Interni che pubblica su Facebook la foto di tre ragazzine minorenni che lo contestano, esponendole a una gogna di commenti sessisti tra auspici di stupri e di morte. Che poi anche qui nulla di nuovo. Beppe Grillo nel 2014 pubblicava il video di un attivista 5 stelle che guidava accanto a una sagoma di Laura Boldrini, accompagnandolo alla domanda: «Cosa succederebbe se ti trovassi lei in macchina?». Da piccola facevo un giochino sulla Settimana Enigmistica; si chiamava ‘trova le differenze’.
#NONÈNORMALECHESIANORMALE
La Cina, che non brilla certo per democrazia, ha bocciato la campagna di Dolce&Gabbana per una forma di sessismo da noi quotidiana sia nelle pubblicità che nei programmi televisivi che sviliscono l’autorevolezza e l’intelligenza femminile. Ciò dimostra che anche se tutto questo in Italia è normale, non lo è in tante parti del mondo. Così come normale non è la violenza. #nonènormalechesianormale dice infatti il bellissimo hashtag dell'iniziativa lanciata dalla vicepresidente del Senato Mara Carfagna. Il 21 novembre ho partecipato a Montecitorio alla sua presentazione che ha coinvolto alcune vittime dirette e indirette della violenza: padri di donne uccise da un marito violento o da un fidanzato apparentemente per bene, una donna sfregiata con l'acido solforico dal compagno, la vittima di stalking dell'assessore alla Cultura Andrea Buscemi di Pisa, leghista e rimasto al suo posto nonostante le tante richieste di dimissioni perché il reato è andato in prescrizione. Carnefici che il disegno Pillon mira a tutelare ancora più di quanto non siano scandalosamente tutelati oggi, rendendo la vita delle donne impossibile e esponendo maggiormente i minori alla violenza e agli abusi sessuali.
IL TRIONFO DEL PADRE PADRONE
Che poi Pillon è diventato il capro espiatorio che distoglie l’attenzione dai mandanti, proprio come avviene nei sistemi mafiosi: se, come si spera, venisse ritirato ci aspetta la mossa di riserva perché quell'alleanza chiamata contratto va rispettata. Non è un caso che sia inesistente la figura di Vincenzo Spadafora alle Pari opportunità in un progetto di governo in cui della dignità delle persone importa ben poco, dei bambini importa niente. Anzi, dai bambini ci mandiamo Salvini che in televisione spiega loro cos’è il sovranismo e pare pure simpatico. E alla Commissione dell’infanzia ci mettiamo a capo proprio Pillon, che sta ai diritti dei più piccoli come un vegano alla sagra della salsiccia. Diciamolo: è un governo che punisce le donne, ci punisce quando non ci sottomettiamo, per il solo fatto di esistere. Esistiamo, teniamo la testa alta e lo sguardo diritto davanti a noi. Abbiamo desideri, personalità, pensieri. Compiamo azioni senza chiedere il permesso. Questo non va giù al patriarcato, così crudelmente deciso con i suoi alfieri a ristabilire quell’ordine a loro caro, in cui zitte e in casa a figliare e accudire «senza rompere i coglioni». Così che gli uomini possano continuare ad occuparsi di sé stessi, andare al lavoro e perchè no, andare a puttane. Magari nelle casa chiuse che il ministro degli Interni propone di riaprire lfingendo di non sapere che 'le puttane' sono in gran parte 'schiave' e che nei Paesi dove il fenomeno è legalizzato, il fallimento è sotto occhi di tutti: le 'case' sono lager da cui le ragazza non possono più di uscirne e salvarsi, sono corpi al macello, a disposizione di un padrone.
NON C'È NIENTE DA RIDERE
Tutto ci dice che siamo di fronte all'origine di un processo di retrocessione culturale che vuole riportare l’Italia indietro di 70 anni e di cui la maggior parte dei cittadini e delle cittadine sono all’oscuro perchè in televisione di questo non si parla e quando se ne parla non c'è il corretto contraddittorio. Così non c'è abbastanza indignazione. E si sorride di fronte alle dichiarazioni di Pillon che sogna il «matrimonio indissolubile» e annuncia di voler vietare l’aborto come in Argentina. Si sorride di fronte ad altri esponenti del family day che si dichiarano contrari all’uso dei preservativi. Si sorride di fronte ai fanatici che chiamano assassine le donne che abortiscono. Si sorride guardando video di 'ex-gay' che dichiarano di essere 'guariti' dall’omosessualità cercando Dio. Si sorride perchè si pensa che indietro non si possa mai tornare, che la nostra intelligenza e le nostre libertà non siano manipolabili, dimenticando che ad esempio a Kabul fino ai primi Anni '90 si poteva girare in minigonna e senza velo. Poi arrivò il fondamentalismo e sappiamo oggi come vivono le donne in Afganistan e in tutto il Medioriente. Il fondamentalismo, che sia islamico, cattolico, ortodosso, fa la stessa cosa. Spazza via diritti, oscura i mondi che inghiotte in una spirale di autoritarismo e dogmi morali.

Ci aspetta uno tsunami di violenza a cui non possiamo farci trovare impreparate
Tutto questo grazie al denaro. Che è potere. Con il denaro si comprano le vite delle persone, si cambiano le culture, si opprimono le donne, le persone omosessuali, le etnie indesiderate. Si monopolizza l’informazione. E questo lo vediamo in Italia, ma anche in altri Paesi d'Europa. Perché dietro le campagne integraliste contro le nostre libertà, contro diritti che ci sembrano intoccabili, ci sono forti investimenti di soldi, come denuncia anche una recentissima inchiesta de L’Espresso. Ma le poche notizie che circolano rimangono un rumore di sottofondo. Eppure anche a Kabul qualcuno avrà sorriso, minimizzato, sottovalutato. Qualcuno avrà cercato di resistere, di organizzare una resistenza, ma non sarà stato supportato e sostenuto abbastanza da una maggioranza di cittadini e cittadine che non si sentivano in pericolo. Ecco, oggi noi siamo in pericolo. Questo è un 25 novembre più oscuro, perchè oltre alla violenza strutturale della nostra cultura, ci aspetta uno tsunami di violenza a cui non possiamo farci trovare impreparate/i, e come i tre porcellini dobbiamo decidere adesso se costruirci una capanna di paglia, di legno, o fare muro.
https://www.letteradonna.it/it/articoli/punti-di-vista/2018/11/25/giornata-violenza-sulle-donne-25-novembre/27177/?fbclid=IwAR1exFydkldiHSS8TtSo0zEKXPZkznRHGrHuCKTRM8hNKwiSe05GkvYxgsA

domenica 25 novembre 2018

UCCISE DUE VOLTE Mattea Guantieri

Le leggi per tutelare le donne vittime di violenza in Italia ci sono ma non vengono applicate. Secondo il rapporto ombra di Grevio (organismo indipendente del Consiglio d’Europa) mancano posti letto, politiche di prevenzione, fondi, preparazione del personale socio sanitario come delle forze dell’ordine, investimenti sulla cultura della parità di genere. Un generale vuoto di reali provvedimenti che sono ben lontani dal migliorare una situazione disastrosa: nel 2018 sono già state uccise 106 donne, una ogni 72 ore. Ma per salvarle sono stati spesi lo 0,02 % delle risorse assegnate in un’esplosione di centri non qualificati che si occupano di altro. Nelle Marche non ci sono case rifugio. Queste sono morti annunciate

Siamo abituati al paradosso, ma questa sembra essere davvero una distorsione brutale visto che si riferisce direttamente a quella violenza sulle donne di cui si parlerà tanto domani, 25 novembre, quando verranno certamente ricordati i numeri dei femminicidi nel nostro paese: già 106 nel 2018, una donna uccisa ogni 72 ore. Dal primo gennaio al 31 ottobre 2018 sono saliti al 37,6% del totale degli omicidi commessi nel nostro Paese (erano il 34,8% l’anno prima), con un 79,2% di femminicidi familiari (l’80,7% nei primi dieci mesi del 2017) e un 70,2% di femminicidi di coppia (il 65,2% nel gennaio-ottobre 2017). Colpisce il progressivo aumento dell’età media delle vittime, che raggiunge il suo valore più elevato proprio quest’anno: 52,6 anni per il totale delle donne uccise e 54 anni per le vittime di femminicidio familiare (in molti casi donne malate, uccise dal coniuge anch’esso anziano, che poi a sua volta si è tolto la vita.
La percentuale di femminicidi che hanno origine familiare è cresciuta: si è passati dal 66,3% del 2000, al 76,7% del 2016 per una media del 71,6 %. E se consideriamo le sole vittime italiane, la percentuale di omicidi nel contesto familiare e affettivo sale all’81,3%.
20mila 137 sono, invece, le donne che nel 2017 sono state accolte dai centri antiviolenza, con (spesso) altrettanti minori a carico, 668 quelli ospitati sempre nel 2017. Il 68% di queste donne è italiana e ha un’età compresa tra i 30 e i 49 anni. Per il 73% la violenza è psicologica, per il 62% è fisica, mentre il 30% di loro deve combattere una violenza economica quotidiana.

Ebbene, date tutte queste cifre sconcertanti, il paradosso altrettanto sconcertante è che in Italia mancano 5.451 posti letto per le donne che scappano dalla violenza, che è domestica come ci dicono tutte le statistiche. C’è un numero di case rifugio distribuito in maniera disomogenea su tutto il territorio nazionale, inadeguato per rispondere ai bisogni e alla sicurezza delle donne che subiscono violenza e in totale violazione di diverse raccomandazioni internazionali ed europee (https://www.wave-network.org/resources/research-Reports) che, per esempio, indicano come parametro numerico adeguato di alloggi sicuri in rifugi per donne specializzati, disponibili in ogni regione, un posto letto ogni 10mila abitanti.

A raccontare quanta impressionante distanza esista tra quello che il governo (non solo attuale va specificato) dichiara in tema di contrasto alla violenza sulle donne e l’effettiva applicazione delle politiche è il rapporto ombra sulla violenza in Italia per il Grevio, organismo indipendente del Consiglio d’Europa costituito da esperte ed esperti che monitorano periodicamente l’applicazione della Convenzione di Istanbul (nata nel 2011 e ratificata dall’Italia nel 2013) sulla violenza contro le donne nei diversi paesi che l’hanno sottoscritta.

Ne parla ad Estreme Conseguenze Marcella Pirrone, avvocata, D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza, che conta su 80 organizzazioni che gestiscono centri antiviolenza e case rifugio in 18 regioni. Pirrone è tra le curatrici del Rapporto 2018: “Il rapporto è critico, non c’è dubbio. Abbiamo stilato pagine e pagine per spiegare quanto non funzioni nei piani nazionali che puntualmente vengono attivati come emergenti e non strutturali, in contrasto con quanto ripetiamo da anni e in tutti i luoghi istituzionali in termini di vuoti formativi e culturali. Il dato tecnico è fondamentale, mappa la mancanza di centri specializzati che possono aiutare le donne a denunciare qualsiasi forma di violenza e, banalmente, a farle sopravvivere dando loro una nuova opportunità di vita. I centri vengono depotenziati dal punto di vista economico ma, in tutto questo, ancora più grave è la dilagante disomogeneità in termini di applicazione delle norme nel diritto e nella pratica della Convenzione. I percorsi di formazione sul fronte sanitario, sociale e giuridico sono del tutto inadeguati e superficiali rispetto ad un numero di operatori (che rimane basso) e a cui manca un approccio di genere condiviso nella lettura della violenza maschile contro le donne e nella predisposizione degli strumenti per prevenirla e contrastarla. Non si tratta di servizi gender-oriented, né women-friendly, il personale spesso non è in possesso delle informazioni basiche adeguate ad orientare la vittima di violenza presso i servizi di supporto specialistici, che sono visti spesso addirittura come troppo di parte. In particolare, l’incapacità dei servizi sociali di riconoscere e conoscere a fondo la violenza contro le donne (nel caso di coppie definita ancora troppo spesso come “conflitto”) e di rilevare la cosiddetta violenza assistita (quella che coinvolge spesso i minori), che porta a interventi non adeguati, soprattutto verso le madri maltrattate”.

Facciamo un primo esempio, relativo alla trasparenza dei finanziamenti, su cui si è espressa più volte anche la Corte dei Conti con parole molto chiare scrivendo già nel 2016 che: “Quanto al finanziamento specificamente destinato al potenziamento delle strutture destinate all’assistenza alle donne vittime di violenza e ai loro figli, deve farsi presente che del tutto insoddisfacente è risultata la gestione delle risorse assegnate (analisi per gli anni 2013-2014), le uniche ripartite nel periodo all’esame. Le comunicazioni degli enti territoriali all’autorità centrale si sono rivelate carenti e inadeguate rispetto alle finalità conoscitive circa l’effettivo impiego delle risorse e all’esigenza della valutazione dei risultati.. ad ogni centro antiviolenza sono stati assegnati in media 5.862,28 euro; ad ogni casa rifugio €6.720,18.”. Facendo due conti è emerso che, per la cosiddetta emergenza della violenza sulle donne, si è speso solo lo 0,02% a fronte di 40 milioni di euro assegnati.

Cifre che vengono definite assolutamente inadeguate a sostenere le attività dei centri e delle case rifugio che si occupano di ricostruire – lo ribadiamo – il progetto di vita di una donna maltrattata. Maltrattata spesso per anni. In molti casi si è scelto di finanziare strutture non adeguate alla protezione e all’accompagnamento per la donna sola o con figli/e, snaturando in alcuni casi l’apporto di competenza e saperi dei centri antiviolenza operanti ormai da 30 anni. “Nel nostro rapporto questo aspetto è assolutamente e volutamente chiaro: facciamo fatica ad avere un quadro preciso delle motivazioni che hanno fatto sì che questi fondi non venissero spesi a dovere e in modo insufficiente. E teniamo conto che il finanziamento massimo del Fondo Politiche Sociali risale al 2004: 1,884 miliardi di euro. Da allora gli stanziamenti sono scesi fino al minimo storico del 2012 (43,7 milioni di euro). Oggi per le Politiche Sociali c’è una cifra pari ad appena il 5% di quanto c’era a disposizione nel 2004, anno in cui il Fondo ha visto il suo massimo storico. Ma da questo Fondo gli enti locali ricavano la quasi totalità delle risorse per fare fronte alle necessità di ospitalità di donne vittime di violenza, in particolare quelle con figli/e minorenni. Questo per dire che di concreto nella volontà di contrastare la violenza contro le donne ci pare ci sia ancora molto poco”.

Qui il link https://www.linkiesta.it/it/article/2018/11/22/fondi-violenza-donne/40226/ di un articolo in cui si può comprendere a chi sono destinati i fondi di cui sopra.

Facciamo un altro esempio, sempre presente nel Rapporto ombra di GREVIO:
In Italia non esistono Centri di supporto specializzati per i casi di stupro e violenza sessuale al di fuori di quelli sviluppati in alcuni ospedali nazionali di città (p.e. Soccorso Violenza Sessuale e Domestica (SVSeD) del Policlinico di Milano, Ospedale Centro Soccorso Violenza Sessuale (SVS) S. Anna di Torino) che offrono, al di là delle tipiche e necessarie prestazioni sanitarie (con messa in sicurezza per 6 mesi di ogni materiale probatorio eventualmente utilizzabile in relativi procedimenti penali), anche consulenza psicologica e sociale e in alcuni casi anche legale.

“Va detto – chiarisce Pirrone – che in Italia tutti i Centri antiviolenza gestiti dalle ONG di donne hanno la competenza per offrire supporto specialistico per le vittime di violenza sessuale e, infatti, sostengono la vittima accompagnandola anche, se necessario, in eventuali percorsi sanitari e giudiziali”. Ma va anche detto che se incrociamo l’ultimo dato Istat sugli stupri – 11 al giorno – con il dato relativo alle denunce, scopriamo che solo il 7,4% delle violenze sessuali viene denunciato. Molte vittime hanno ancora paura, non sanno se saranno protette e se troveranno protezione per sé ed eventualmente per i propri figli in caso di violenza domestica, perché di minori presenti ce ne sono, secondo l’Istat almeno in 4 casi su 100. “C’è un vuoto che riguarda i concreti interventi di prevenzione e protezione su tutto il territorio italiano. Entro marzo prepareremo un resoconto finale da trasmettere in Consiglio d’Europa. Queste sono morti annunciate. Ci sono situazioni drammatiche in regioni come le Marche dove non ci sono case rifugio”.

“Questo perché la violenza – spiega sempre Pirrone – di fatto è ancora in gran parte sommersa e anche quando si arriva alle aule giudiziarie ci si scontra con pregiudizi e mancanze gravi nei confronti della vittima”. Su questo punto torna utile il rapporto per capire dove siamo o meglio, dove ci siamo fermati e dove rischiamo di fermarci, se per esempio passasse il DDL Pillon che secondo Pirrone è “rancoroso nei confronti della donna, e porta avanti un’ideologia giocando sulla vita delle donne e dei minori. Dopo aver messo in pratica il cosiddetto piano di sicurezza per togliersi da una situazione pericolosa per sé e per i figli la donna si troverebbe a dover andare da un mediatore, per mesi verrebbe sospesa una decisione che le permetterebbe di allontanarsi, con i figli, dal suo maltrattatore che, secondo la legge, sarebbe considerato uguale a tutti gli altri padri. Senza dimenticare tutte quelle situazioni terribili in cui i figli vengono utilizzati per perpetrare ulteriori abusi, stalking, in cui si usa violenza stessa sul figlio o c’è violenza assistita”.

Nel rapporto leggiamo “Ancora oggi da parte dei servizi sociali o dei tribunali l’obiettivo principale è salvaguardare e conservare il rapporto con la prole, ovvero il legame genitore-figlio/a, sulla base del presupposto che conservare un legame affettivo con un genitore biologico sia di per sé produttivo di effetti benefici, e che agire con violenza nei confronti del proprio partner all’interno di una relazione sentimentale non sia un comportamento indicativo di scarse competenze genitoriali. La convinzione radicata è che un uomo maltrattante possa essere (e nella maggior parte dei casi, sia) un buon genitore.

Un esempio emblematico è il caso di Federico Barakat, ucciso dal padre durante un incontro protetto all’interno della ASL di San Donato Milanese nonostante le ripetute denunce di maltrattamento e stalking presentate dalla madre, accusata peraltro di ostacolare i rapporti tra il padre e il figlio. Oggi il caso è all’esame della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo”.

“Perché un padre è sempre un padre – commenta Pirrone – anche quando è violento. Soprattutto in un contesto culturale ancora così discriminatorio per le donne, dove l’idea che continua a passare è che comunque un certo tipo di atteggiamenti, anche violenti, siano un ingrediente scontato dei rapporti intimi: una convinzione che nei tribunali, nelle caserme e in alcune perizie psicologiche (CTU), espone la donna a grave rischio, in quanto la violenza psicologica nei rapporti d’intimità non è una semplice conflittualità della relazione ma violenza vera e propria, come indica la stessa Convenzione di Istanbul”.

Un altro dato colpisce: quasi nella metà dei casi (nel 44,6%) la vittima aveva denunciato l’autore delle violenze, senza ottenere però una protezione idonea a salvarle la vita. Il sistema SDI (Sistema di indagine del Ministero dell’Interno) raccoglie informazioni sia sui delitti denunciati dai cittadini presso gli uffici competenti (Commissariati di Polizia, Stazioni dei Carabinieri ecc.), sia sui delitti che le Forze di Polizia accertano autonomamente. Le informazioni riguardano, inoltre, anche le segnalazioni di persone denunciate e/o arrestate che le Forze di Polizia trasmettono all’Autorità giudiziaria. Una vittima italiana su tre ha dichiarato che il personale sanitario a cui si è rivolta ha fatto finta di niente di fronte alla violenza subita. Fa inoltre pensare il fatto che in un caso su 3 alle italiane è stato consigliato di sporgere denuncia, cosa che invece è stata sconsigliata al 63% delle straniere. Forse – si chiede Istat – perché si ritiene che le straniere abbiano una rete sociale meno solida alle spalle. Intendendo dunque la denuncia come un’alternativa al supporto della famiglia.

Di mancanza di una specializzazione effettiva in seno al giudice civile significative sono le parole di Fabio Roia, attuale presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano che scrive “la caratteristica dell’organo giudicante è che è un giudice civile, spesso non specializzato, legato per formazione al principio del contradditorio e dotato di poco coraggio nell’emanare un provvedimento che ha tutti gli effetti di una misura cautelare”.  (Crimini contro le donne politiche, leggi, buone pratiche” Franco Angeli)

Che la discriminazione in base al sesso, in Italia, sia ancora altissima su molti fronti è un fatto sotto gli occhi di tutti –  l’Italia in Europa si piazza al quinto posto per divario del 2,7% del rischio di indigenza a sfavore del sesso femminile –  ma come evidenzia il Rapporto le urgenze sono anche sul fronte culturale, il corpo delle donne è lo strumento attraverso il quale passa una discriminazione che parte da lontano e che viaggia su piani diversi e che si intrecciano sempre a svantaggio della donna.

Esempi? Leggiamo il Rapporto:
Nel settembre 2016, l’Assessore alle Culture e alle Identità, Cristina Cappellini, della Lega presso la Regione Lombardia stanzia trenta mila euro per attivare il servizio “sportello Famiglia”, un numero telefonico rivolto a genitori per “denunciare la diffusione della cosiddetta teoria “gender” nelle scuole della regione e per difendere la famiglia tradizionale. A gestire il servizio è l’Age, Associazione italiana genitori cristiani che organizza anche il Family Day. A Bologna nel settembre 2017 il comitato provinciale bolognese “Difendiamo i nostri figli – Family Day” e Forza Italia ha compiuto una schedatura delle scuole in cui vengono affrontate le teorie del gender, attribuendo uno stigma rosso se la scuola fa attività «filo-gender», giallo se ci sono solo «tracce gender» e verde se non si riscontra nulla. A Trieste nel marzo del 2015 viene bloccato il kit didattico e il relativo progetto educativo intitolato Il gioco del rispetto, nato per le scuole per sensibilizzare bambini e bambine sulla violenza di genere e la promozione delle pari opportunità tra uomini e donne. La cancellazione di Il gioco del rispetto da parte dell’Amministrazione Comunale è concomitante ad una vera a varie campagne diffamatorie.  A Venezia nel giugno del 2015 l’Amministrazione Comunale mette al bando 1.098 volumi presenti nelle biblioteche pubbliche rivolti a bambini e bambine, 36 titoli per la scuola dell’infanzia e 10 per i nidi, che riguardano le tematiche degli stereotipi di genere e la sensibilizzazione sui temi della violenza. Si tratta di libri di favole illustrate per bambini incentrate sul tema del rispetto.

Nel 2015 a Pescara è stato sospeso il percorso “Ricomincio da te” rivolto scuola dell’infanzia e primaria (sostenuto dall’Assessorato alla Cultura e alla Pubblica Istruzione del Comune di Pescara) dopo un’interrogazione comunale di una esponente di Forza Italia con l’accusa che le lettrici andavano in classe a proporre libri che avevano l’effetto di “confondere i bambini, farli spogliare e masturbare, cercare di farli diventare omosessuali.”

Un clima di caccia alle streghe, quindi, di paura e intimidazione che certo non aiuta né a fermare la violenza come si dichiara di voler fare né a far riflettere da dove essa possa nascere e nutrirsi giorno dopo giorno e che si è diffuso nel corso degli anni con progetti bloccati, altre volte stati supportati, ma con la richiesta esplicita di operare una auto-censura, ovvero di non usare il termine “genere” per non incorrere nella gogna mediatica. O peggio nell’opposizione di forze politiche.

C’è poi un’altra tendenza: la classificazione dello stupro: esistono ormai stupratori di serie A, stranieri rifugiati e clandestini, e stupratori di serie B, indigeni. Stupratori efferati, i primi, come a Rimini, e stupratori “trascinati”, come a Firenze. Popoli stupratori, che fanno la regola, e mele marce, che fanno l’eccezione. Stupri da raccontare nei più squallidi dettagli, tipo come funziona la sabbia nella “doppia penetrazione” sul caso Rimini, e stupri su cui stendere la copertina pietosa del decoro dell’Arma e dello stato, come nel caso di Firenze. Vittime da trattare con qualche riguardo, se bianche, occidentali, perbene, e vittime da violentare una seconda volta, sui giornali, sfregiandone la privacy, se polacche o di chissà dove, precarie, o magari prostitute non per scelta ma per forza. Su questo vale la pena rileggersi un articolo di Ida Dominijanni,  in cui si parla di razzializzazione della violenza sessuale, e così facendo di delinea uno scenario triste ma molto adatto ai talk: narrare il femminicidio senza insegnare che la violenza inizia da un parola e che uno stupro è stupro e non va classificato in base al colore della pelle. Lo abbiamo visto in questi giorni. Le foto che girano sul web delle studentesse contro Salvini e i commenti sessisti che le accompagnano parlano da sole. E scandalizzarsi, anche questo è ormai noto, neppure serve.

Qui il rapporto di GREVIO
Da sapere
L’Italia ha sottoscritto una serie di trattati internazionali (tra cui la CEDAW  (convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne). La Special Rapporteur sulla violenza contro le donne per l’ONU e la Chair Rapporteur del “Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sul tema della discriminazione contro le donne nel diritto e nella pratica” hanno in data 22 ottobre 2018 chiesto al Governo di riferire entro 60 giorni sul famoso DDL Pillon oltre che sulla minaccia di chiudere centri e spazi di donne per il supporto delle sopravvissute alla violenza di genere.

LA VIOLENZA ASSISTITA
Non esistono stime ufficiali relative agli orfani a seguito di femicidio.
Nell’unione europea il valore medio europeo del tFr (total Fertility rate- tasso totale di fertilità), è di 1,6 figli (World Facts Book, cia, 2014); la popolazione complessiva dell’unione europea è di 511.434.812 abitanti, 168.426.423 dei quali sono donne di età compresa fra i 15 e i 64 anni; la stima del numero delle donne uccise è di 840 all’anno. Questo significa che ci sono potenzialmente 1.344 nuovi casi di orfani da femicidio all’anno. Continuando a fare qualche calcolo, ciò implica che fra tutta la popolazione in Europa fra i 0 e i 60 anni ci sono 79.000 persone orfane di madre per mano del padre. Un numero incredibile, considerando non solo i costi umani, ma anche economici che questo comporta.

L’Eures dal 2000 al 2016 ne calcola 658, di cui 379 minorenni al momento del delitto (il 57,6%). Per l’Istat sono molti di più: circa 1600. Per tutelarli lo scorso dicembre è stata approvata una legge che prevede, tra le varie cose, la protezione legale gratuita, il sequestro conservativo dei beni dell’omicida e la sua esclusione dall’eredità del coniuge ucciso (“indegnità a succedere”). Quasi la metà delle vittime di femminicidio aveva denunciato prima. In un quarto dei femminicidi di coppia censiti dal rapporto Eures la vittima aveva già subito violenze dal suo carnefice: è accaduto in media nel 24,2% dei casi tra il 2000 e il 2016, e la percentuale sale al 37,1% nel solo 2016. Le violenze nel 69% dei casi erano note a figure esterne alla coppia. In circa la metà dei casi (il 48,8%) i maltrattamenti avevano un carattere ricorrente, mentre per il 20,7% c’è stata un’escalation delle violenze agite.

LA PAROLA FEMMINCIDIO

La parola femminicidio ha origini molto recenti: solo nel 1992 Diana Russel, con questo termine, ha definito una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna «perché donna». Subito dopo è stata la messicana Marcela Lagarde a battezzare quello stesso fenomeno con la parola “femminicidio”. Secondo l’ultimo rapporto annuale delle Nazioni Unite, presentato dalla relatrice speciale Rashida Manjoo il 25 giugno 2012, “a livello mondiale, la diffusione degli omicidi basati sul genere ha assunto proporzioni allarmanti”. Tali omicidi, prosegue il rapporto, sono “culturalmente e socialmente radicati, continuano ad essere accettati, tollerati e giustificati, laddove l’impunità costituisce la norma”. Gli omicidi basati sul genere si manifestano in forme diverse ma ciò che accomuna di più tutte le donne del mondo è proprio l’uccisione a seguito di violenza pregressa subita nell’ambito di una relazione d’intimità. Queste morti “annunciate”, vengono spesso etichettate come i soliti delitti passionali, fattacci di cronaca nera, liti di famiglia. Le donne muoiono principalmente per mano dei loro mariti, ex-mariti, padri, fratelli, fidanzati o amanti, innamorati respinti. Insomma per mano di uomini che avrebbero dovuto rappresentare una sicurezza.

I numeri in Italia sono impietosi: muore di violenza maschile una donna ogni due o tre giorni. Ma questi sono appena un’approssimazione: non esiste, infatti, un monitoraggio nazionale che metta insieme i dati delle varie associazioni con gli sforzi dei volontari fai-da-te e con quelli delle istituzioni che a diverso titolo hanno a che fare con la violenza contro le donne. Quando non si conosce un fenomeno o addirittura, ci pare, lo si disconosce è impossibile affrontarlo.
https://estremeconseguenze.it/2018/11/23/stuprate-due-volte/?fbclid=IwAR1zeT8eP3tfqjVs7EXdLOUDVk_02sbQMNLsU4-SaTFR6kl2klAu82sqs8U

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sabato 24 novembre 2018

Violenza sulle donne, i dati Istat: "In 49mila si sono rivolte a Centri"

Accuse dall'Europa: l'Italia fa troppo poco per evitare i femminicidi: scarsa preparazione, interventi a macchia di leopardo. Domani a Roma manifestazione nazionale Non una di meno "contro la violenza di genere, il decreto Pillon e chi vuol cambiare la legge sull'aborto":
L'Italia fa troppo poco per combattere i femminicidi e la violenza sulle donne. Lo hanno detto gli esperti di Grovio (Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence) ad EstremeConseguenze.it.
Grovio, l' Organismo del Consiglio d'Europa che monitora in ogni paese l'applicazione della Convenzione di Istanbul, sta preparando un rapporto sul nostro paese su questi temi.

Mancano più di 5mila posti letto per chi fugge dalle mura domestiche, teatro dell'80% dei maltrattamenti; i fondi pubblici sono scarsi e utilizzati male. Di quelli disponibili ne sono stati spesi solo lo 0.02%. Scarsa preparazione e formazione sul fenomeno della violenza di forze dell'ordine e personale socio-sanitario, interventi di prevenzione e protezione sui territori a macchia di leopardo, così solo il 7% degli stupri viene denunciato.

Una situazione impietosa - spiega Marcella Pirrone, avvocato della rete dei centri antiviolenza Dire che ha contribuito alla stesura delle 60 pagine del report ombra - c'è un vuoto che riguarda azioni concrete su tutto il territorio italiano. Entro marzo prepareremo un resoconto finale da trasmettere in Consiglio d'Europa. Queste sono morti annunciate. Ci sono situazioni drammatiche in regioni come le Marche dove non ci sono case rifugio. Molte vittime hanno ancora paura di denunciare, non sanno se saranno protette e se troveranno protezione per sé ed eventualmente per i propri figli in caso di violenza domestica".

I minori che assistono alle violenze sono presenti secondo l'Istat in 4 casi su 100. Come i nipotini di Renato, il nonno che ,l'altro giorno è andato alla Camera a parlare durante il convegno organizzato dalla vice presidente Carfagna in vista della giornata mondiale contro i femminicidi. giorno in cui è stata lanciata la campagna: "nonènormalechesianormale".
La figlia di Renato è stata uccisa, sgozzata dal marito sotto gli occhi dei bambini che ora hanno bisogno di continuo supporto psicologico, aspettano il buio con timore, perche al tramonto è stata uccisa la loro mamma, temono che il padre esca dal carcere e gli uccida anche se i nonni che se ne occupano hanno cambiato città in attesa ancora dell'aiuto previsto dallo stato per aiutare le vittime del femminicidio e gli orfani di padri violenti.

Le donne che si sono rivolte ai Centri antiviolenza nel 2017 sono 49.152, di queste 29.227 hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza.  Il 26,9% delle donne che si rivolgono ai centri sono straniere e il 63,7% ha figli, minorenni in più del 70% dei casi. Sono i dati raccolti dall'Istat che per la prima volta ha svolto l'indagine sui servizi offerti dai Centri antiviolenza, in collaborazione con il Dipartimento per le Pari opportunità le regioni e il Consiglio nazionale della ricerca.

L'Osservatorio Pari Opportunità e Politiche di Genere dell'Auser aderisce alla manifestazione di domani indetta dal movimento Non Una Di Meno. "E' molto difficile misurare la violenza, perché quella contro le donne (e contro le donne anziane, sottostimata e sottovalutata) è ancora una violenza sommersa e taciuta".

Da gennaio a ottobre sono state oltre 70 le donne uccise per mano di chi diceva di 'amarle'. Da gennaio a fine luglio sono state 1.646 le italiane e 595 le straniere che hanno presentato denuncia per stupro. L'Istat stima che siano 1 milione 404mila le donne che hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro da parte di un collega o del datore di lavoro. Incalcolabili gli episodi di sessismo, che permeano la vita delle donne: obbligare una donna a cambiare strada perché davanti a quel bar le dicono battute oscene, subire apprezzamenti non graditi sul proprio corpo o su come è vestita, la scelta delle aziende di assumere più uomini che donne, il divario salariale tra uomo e donna, l'incessante prova delle donne per dimostrare la propria competenza e professionalità, il carico del lavoro di cura che pesa quasi totalmente sulle donne, le immagini pubblicitarie che schiacciano le donne in ruoli stereotipati, spesso umilianti".

Domani, dalle 14, a Roma, partenza da piazza della Repubblica, per "Non Una di Meno" che torna in piazza con una manifestazione nazionale a Roma "contro la violenza di genere e le politiche patriarcali e razziste del governo". Non una di Meno denuncia "la strumentalizzazione di stupri e femminicidi, ricordano ancora una volta che la violenza contro le donne non ha colore: è sempre violenza maschile. Quest'ultima comincia nel privato delle case ma pervade ogni ambito della società e diventa sempre più strumento politico di dominio, producendo solitudine, disuguaglianze e sfruttamento. Patriarcato e razzismo sono due facce della stessa medaglia: rifiutiamo la paura, l'odio e la violenza del decreto Salvini, costruendo mobilitazione e solidarietà diffusa, in primo luogo con le migranti esposte a violenze reiterate e sulla cui pelle si gioca in modo ancora più tragico la partita della destra al governo". Inoltre, Non Una Di Meno ribadisce che "la libertà di abortire non si tocca e che il Ddl Pillon non si riforma, si blocca! Il 24 novembre a Roma sarà nuovamente marea femminista senza bandiere e simboli identitari e di partito
https://www.repubblica.it/cronaca/2018/11/23/news/accuse_dall_europa_l_italia_fa_troppo_poco_per_evitare_i_femminicidi-212392247/?fbclid=IwAR2JkgFkcc0aPwdkx9N65xZ8uSnYMOucNHzVkvJjuLIGR4RmkFK5uYzw7l4